La lesione della reputazione mediante l’opera artistica

La lesione della reputazione mediante l’opera artistica: il caso: Cass., 7.5.2009, n. 10495, in Corr. giur., 2009, 7, p. 904 ss., con nota di V. CARBONE, Diffamazione televisiva.

Una madre citava in giudizio la Rai e un attore-scrittore, asserendo che il monologo dallo stesso recitato in un programma televisivo fosse diffamatorio e lesivo dell’onore. L’opera era stata costruita su un fatto tragico, riportato dalla stampa e dalle televisioni, riguardante la morte di bambini in seguito alla caduta in un pozzo artesiano. In particolare la madre di uno di questi contestava una frase contenuta nel monologo:

sono le mamme che gettano i bambini nei pozzi (…) poi [le stesse] hanno inscenato il pianto e la disperazione, le ipocrite assassine, le infanticide; nessuna madre uccide per uccidere la sua creatura (…), ma per farla tornare nel ventre, nelle ovaie e così apre la terra come una vagina, senza il minimo di rimorso o di ripensamento.

Il tribunale di Roma ha respinto la domanda, ma la Corte d’appello ha riformato la sentenza condannando la Rai e l’attore a risarcire, in solido, il danno subito dalla madre che aveva perso il figlio. La sentenza è stata impugnata in Cassazione la quale, per la prima volta, si è pronunciata sulla diffamazione mediante un’opera artistica.

La lesione della reputazione mediante l’opera artistica. L’espressione artistica

L’opera d’arte è una creazione intellettuale. Prende spunto, talvolta, da fatti realmente accaduti per proporre un messaggio, un valore o un disvalore su cui riflettere.

In questo caso la Cassazione affronta un punto essenziale: se l’autore dell’opera debba rispettare la verità o sia libero di alterarla, anche sostanzialmente, per perseguire uno scopo che trascenda il fatto stesso.

Secondo una prima risposta l’espressione artistica, anche se inventa situazioni ed eventi non accaduti collegandoli ad altri realmente verificatisi, deve rispettare l’onore e la reputazione dei soggetti coinvolti. Il che implicherebbe l’illegittimità dell’attribuzione di fatti non accaduti e lesivi della reputazione.

La lesione della reputazione mediante l’opera artistica. La differenza tra arte, cronaca e saggistica

Questa impostazione così netta, rigettata dalla Suprema Corte, non tiene conto della differenza tra arte, cronaca e saggistica né del diverso atteggiamento di chi fruisce di uno di tali generi. Chi attinge a una fonte di notizie, come un quotidiano, esercita il diritto di essere informato e cerca la verità. Chi assiste a uno spettacolo o a un film asseconda, tendenzialmente, un piacere.

I giudici di legittimità svolgono, invece, un ragionamento condivisibile volto a contemperare dignità, onore e reputazione con il libero esercizio dell’arte. Valori, questi, tutti protetti dalla Costituzione. La notizia giornalistica, il saggio o il documentario perseguono distinte finalità. Rispettivamente informare il lettore, ricostruire attraverso collegamenti e riferimenti una vicenda politica o storica e documentare, mediante immagini, fatti o modi di vivere. Il tratto comune è offrire la verità, oggettiva o filtrata dalla prospettiva dell’autore.

La lesione della reputazione mediante l’opera artistica. La finalità dell’opera artistica.

L’opera artistica è, invece, nella sua essenza, atto creativo con il quale l’artista, al fine di affermare ideali e valori, «manipola materiali, cose, fatti e persone per offrirli al fruitore in una visione trascendente gli stessi. Per raggiungere questo fine [essa] si sviluppa attraverso toni a volte elegiaci, altre volte drammatici o comici, ed opera con gli strumenti della metafora, del paradosso, dell’iperbole; comunque esagera nella descrizione della realtà tramite espressioni che l’amplificano, per eccesso o per difetto».

In teoria è agevole distinguere lo scritto con finalità informative o culturali dall’opera artistica che, per vocazione, oltrepassa la verità. Ma nella pratica il giudice, talvolta, è chiamato a compiere una difficile valutazione sul crinale del lecito. Per decidere sull’offensività di un monologo, atto creativo, occorre, secondo la Cassazione, un accertamento diverso «rispetto a quello comunemente svolto con riguardo all’esercizio dell’attività giornalistica e documentaristica».

La diversità sussiste, continua la Suprema Corte, sia in ordine all’effettivo verificarsi del danno sia alla reale volontà dell’artista di ledere la dignità altrui.

L’argomentazione della sentenza

Seguiamo più da vicino l’argomentazione della sentenza. Sotto il primo profilo, per ritenere che l’onore sia stato leso non è sufficiente accertare la falsità contenuta nell’opera artistica, «in quanto l’arte non è interessata, né deputata ad esprimere la realtà nella sua verità fenomenica; così come il lettore o lo spettatore di un’opera artistica teatrale o cinematografica non s’aspetta di essere posto al corrente di notizie vere, attendendo, piuttosto, la manipolazione della realtà, finalizzata al raggiungimento di mete ulteriori ed ideali».

Se l’alterazione della verità non rende illecita l’opera artistica, «perché possa dirsi verificata la diffamazione – soggiunge la Cassazione – è necessario accertare che l’offesa sia arrecata al di fuori di ogni sforzo creativo e che l’espressione sia percepita dal fruitore (lettore o spettatore) come vera e, dunque, offensiva della dignità, dell’onore e della reputazione altrui».

In altri termini con l’espressione «al di fuori di ogni sforzo creativo», si vuol sottolineare che la frase o l’immagine offensiva, per essere illecita, deve risultare da un atto o da un supporto non qualificabile opera artistica.

In tal caso il pubblico o il lettore percepirà la frase o la rappresentazione come veritiera e gratuitamente offensiva. In sostanza se l’arte, nel manifestarsi, non è astretta da limiti, il suo fruitore non può pensare di acquisire la verità oggettiva. Su questo decisivo aspetto la Cassazione ha incentrato la motivazione: la frase contestata dalla madre «può sicuramente definirsi aspra, brutale e, per certi versi, crudele, ma, di certo, non può aver fatto credere ad alcun telespettatore che effettivamente quei bambini siano stati vittime della furia omicida e paranoica delle loro madri».

Alla funzione dell’arte si lega strettamente il secondo profilo, innanzi indicato, riguardante la volontà dell’artista di diffamare (elemento soggettivo). Se l’arte è creazione, l’autore del monologo che trae spunto da fatti veri va oltre i medesimi ovvero, come si esprimono i giudici di legittimità, «trasfigura» gli stessi. E ciò a scopo creativo non diffamatorio. Per fugare ogni dubbio sulla natura offensiva del monologo, è altresì importante porre l’accento sul contesto spazio-temporale in cui lo stesso è inserito. Nel caso di specie era emerso che l’attore, prima di recitare nella trasmissione televisiva, aveva spiegato la finalità del suo scritto. Egli intendeva riflettere sulla morte per tentare di esorcizzarla e di sconfiggerla. Lo spettatore, quindi, non poteva assolutamente pensare che i fatti ulteriori attribuiti alla madre fossero veri e non piuttosto funzionali al messaggio insito nella creazione artistica.

Il ragionamento della Cassazione non è, tuttavia, del tutto convincente quando esclude, in assoluto, che il lettore o lo spettatore di un’opera artistica voglia conoscere la verità; oppure che lo stesso non possa essere indotto dall’artista ad acquisirla.

Un film è una forma d’arte, ma le valutazioni e le sensazioni suscitate nel pubblico possono far maturare un giudizio negativo sul personaggio protagonista del film. Ciò accade ove ci si convinca che i fatti infamanti, attribuiti a un soggetto, siano veri o probabili. Se un regista, nel ripercorrere la vita di un politico, rappresenta oltre fatti veri episodi e vicende immorali o illegali la cui veridicità non sia stata dimostrata, dovrebbe ritenersi lesa la reputazione della persona su cui il film verte. Il reato, in tal caso, non è escluso dall’esimente della libertà della manifestazione artistica né dall’idea – discutibile – che l’arte trascenda sempre i fatti da cui muove. La persona, invece, può essere diffamata attraverso un film se alcune scene ingenerino nello spettatore la convinzione (o il dubbio) che i fatti rappresentati siano veri.

Articolo tratto da “La lesione della reputazione mediante l’opera artistica: I LIMITI ALLA CRITICA, ALLA SATIRA E ALL’ESERCIZIO DELL’ARTE” di Antonio Gorgoni

 

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