Utilizzo di fotografie per fini pubblicitari

Per capire come e quando si possono utilizzare le fotografie per fini pubblicitari è necessario tenere presente 2 aspetti.

Il primo è che la divulgazione dell’immagine, senza il consenso dell’interessato, è lecita soltanto quando sia connessa ad esigenze di pubblica informazione, tra cui non possono essere ricomprese le finalità pubblicitarie (art. 110 della l. n. 633/1941).

Il secondo è il consenso. Si tratta di un negozio unilaterale, avente ad oggetto l’esercizio del diritto all’immagine che, seppur inserito in una fattispecie contrattuale, rimane distinto ed autonomo rispetto alla pattuizione e può sempre essere revocato.

Detto ciò, facciamo un esempio concreto per capire meglio il tema trattato in questo articolo.

Con atto di citazione notificato il 30 maggio 2008, Martina V. conveniva in giudizio la Segafredo Zanetti s.p.a., chiedendo accertarsi che detta società utilizzava l’immagine dell’attrice, senza o contro il consenso della medesima.

La causa veniva trascinata sino in Cassazione che si pronunciava a favore dell’attrice.

In particolare la Cassazione (Sezione I civile -Sentenza 29 gennaio 2016, n. 1748) evidenziava che la V. che, in data 13 novembre 2007, aveva revocato il proprio consenso alla diffusione della propria immagine, recedendo dal contratto – stipulato, peraltro, senza l’indicazione di un termine di scadenza -, e diffidando la Segafredo Zanetti s.p.a. – la quale aveva intanto diffuso a scopo pubblicitaria, pur senza averne titolo, le foto ed i ritratti della V. – a non utilizzare in alcun modo l’immagine dell’odierna ricorrente.

Utilizzo di fotografie per fini pubblicitari 

A norma dell’art. 10 c.c., nonché degli artt. 96 e 97 della l. n. 633 del 1941 sul diritto d’autore, la divulgazione dell’immagine, senza il consenso dell’interessato – il quale può, come ogni altra forma di consenso, essere condizionato da limiti soggettivi (in relazione ai soggetti in favore dei quali è prestato) od oggettivi (in riferimento alle modalità di divulgazione) – è lecita soltanto se ed in quanto risponda alle esigenze di pubblica informazione (sia pure intesa in senso lato), non anche, pertanto, ove sia rivolta – come nel caso di specie – a fini pubblicitari (cfr. Cass. 1503/1993; 5175/1997; 8838/2007; 21995/2008).

In tal senso si è espressa, peraltro, anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) la quale, con riferimento all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, ha osservato che la nozione di “vita privata” – enunciata nella norma succitata – è una nozione ampia, non soggetta a una definizione esaustiva, che comprende l’integrità fisica e morale della persona e può, quindi, includere numerosi aspetti dell’identità di un individuo, come il nome o elementi che si riferiscono al diritto all’immagine.

Utilizzo di fotografie per fini pubblicitari

Tale nozione ricomprende, dunque, tutte le informazioni personali che un individuo può legittimamente aspettarsi non vengano pubblicate senza il suo consenso (CEDU, 6 aprile 2010, n. 184/06, Saaristo e altri c. Finlandia).

La pubblicazione di una o più foto, in quanto invade la vita privata di una determinata persona, anche se si tratta di un soggetto pubblico, non può essere effettuata senza il consenso della persona medesima (cfr. CEDU, 21 febbraio 2002, n. 42409/98, Schüssel c. Austria; CEDU, 24 giugno 2004, n. 59320/00, Von Hannover c. Germania; CEDU, 19 settembre 2013, n. 8772/10, Von Hannover c. Germania).

Il consenso alla pubblicazione della propria immagine costituisce un negozio unilaterale, avente ad oggetto non il diritto, personalissimo ed inalienabile, all’immagine, che in quanto tale non può costituire oggetto di negoziazione, ma soltanto l’esercizio di tale diritto.

Il consenso in parola, pertanto, sebbene possa essere occasionalmente inserito in un contratto, resta tuttavia distinto ed autonomo dalla pattuizione che lo contiene, con la conseguenza che esso è sempre revocabile, quale che sia il termine eventualmente indicato per la pubblicazione consentita, ed a prescindere dalla pattuizione del compenso, che non costituisce un elemento del negozio autorizzativo in questione, stante la natura di diritto inalienabile e, quindi, non suscettibile di valutazione in termini economici rivestita dal diritto in discussione (Cass. 3014/2004).

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