Diritto alla libertà e Diritto d’Autore: è giusto educare all’obbedienza o alla libertà?

Diritto alla libertà e Diritto d’Autore: chi cresce libero morirà schiavo?

Diritto alla libertà e Diritto d’Autore. È giusto educare all’obbedienza o alla libertà? Niente materie, niente compiti, niente banchi… Ma chi cresce libero morirà schiavo come noi? È la domanda di una famiglia che ha lasciato l’educazione tradizionale per cercare un nuovo immaginario di scuola.

“Figli della Libertà” (di Lucio Basadonne,  Anna Pollio e la figlia Gaia) racconta un anno di vita di una famiglia che si interroga e che si muove, alla ricerca di risposte, in Italia e in Europa per confrontarsi su questo tema.

Anna e Lucio incontrano, esperti di pedagogia libertaria, psicologi, homeschooler, insegnanti, pediatri, adulti cresciuti senza aver frequentato la scuola, bambini homeschooler felici e altri che invece a scuola ci vogliono andare.

Ma che tipo di scuola? Che tipo di istruzione? Con quali modalità, tempi, obiettivi? E proporre scuole alternative? I bambini imparano? E poi come faranno a inserirsi in una società che basa tutta la sua struttura su giudizi, continue verifiche e classificazioni, sulla competizione invece che la cooperazione?

Come faranno in una società che non tiene troppo conto delle singole e peculiari capacità, tempi e talenti di ciascuno ma che appiattisce tutti verso un unico obiettivo?Anna e Lucio partono per questa avventura con Gaia, la loro bambina che, in prima linea, lascia la scuola e inizia a frequentare una “scuolina”, come la chiamano i ragazzi.

La famiglia Basadonne cerca di fornire una loro risposta attraverso questo viaggio fatto di esperienze concrete, testimonianze e pareri autorevoli.

Questo viaggio offre tre diversi punti di vista. Se nella storia di Gaia e della sua esperienza in un progetto di pedagogia libertaria sono spesso i bambini a filmarsi fra loro; l’indagine di Lucio,  alla ricerca di chi non è andato a scuola per capire cosa ha combinato nella vita, è un dialogo senza filtri in soggettiva grandangolare, scelta che meglio si presta  per raccontare l’inquietudine di un padre che ha paura di sbagliare tutto. Il punto di vista  di Anna evidenzia invece  il suo approccio più ponderato in un  confronto con insegnanti, psicologi e pediatri, per cercare risposte istituzionali.

Condividiamo alcune riflessioni con gli autori.

Che cosa volete dire con questo film?

Noi mettiamo in immagini la nostra ricerca, cercando di sospendere il giudizio. Ma forse nella scena finale sull’albero c’è quello che volevamo dire. Andate al cinema a scoprirlo.

Nel film si avverte una sorta di “tristezza” e come una mancanza di scrittura.  È voluta questa sorta di “disagio” e disorientamento che sente lo spettatore? E’ voluto, inoltre, un montaggio fatto quasi come di pezzi di puzzle non combacianti?

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