Sfruttamento commerciale del nome e dell’immagine della persona celebre

Si tratta, in particolare, di contratti atipici – quali ad es. la sponsorizzazione, nella sue varie tipologie, l’endorsement, il personality merchandising, la pubblicità testimoniale ecc.) – frequentemente impiegati dagli atleti per sfruttare in ambito commerciale la notorietà conseguita nel contesto sportivo.

Le nuove esigenze della commercializzazione dell’immagine

Contestualmente, la diffusione di tali accordi si è particolarmente consolidata nel tempo per soddisfare le sempre più numerose esigenze della moderna comunicazione d’impresa. In virtù di tali negozi, il disponente concede a terzi il diritto di utilizzare, per finalità commerciali, la propria immagine ed il proprio nome, impegnandosi eventualmente ad eseguire determinate prestazioni promo pubblicitarie a favore della controparte.

La tutela

Rispetto a questi accordi, non viene posto in dubbio il requisito della meritevolezza di tutela, ex art. 1322, comma 2° c.c., tenuto conto che rimettere all’autodeterminazione e all’autonomia negoziale del soggetto la scelta in ordine all’utilizzo economico della propria notorietà, da una parte realizza interessi costituzionalmente protetti (quali il libero sviluppo della persona e la libertà d’iniziativa economica), dall’altra non si pone di per sé in contrasto ai valori sottesi alla persona umana.

La nuova disciplina del consenso

Appare evidente, però, che la disciplina di tali accordi si scontra con la ricostruzione tradizionale, legata sia all’indisponibilità del diritto all’immagine, sia al ricorso allo schema del consenso dell’avente diritto, impiegato per giustificare l’occasionale atto di disposizione. Secondo l’opinione tradizionale, infatti, il consenso del titolare diritto, nell’ambito qui considerato, non determinerebbe alcuna trasmissione al terzo del diritto, bensì rimuoverebbe, solo con effetti tra le parti, la causa dell’antigiuridicità a favore del soggetto autorizzato.

La revoca del consenso

In tal modo, il consenso all’impiego della propria immagine è stato per lungo tempo considerato alla stessa stregua di altri atti di esercizio non vietati dei diritti della personalità, come, ad esempio, il consenso all’operazione chirurgica. Così facendo, al titolare del diritto sarebbe sempre riconosciuta – quale corollario dell’indisponibilità dei diritti della personalità – la facoltà di revocare il consenso prestato all’utilizzazione della propria immagine (da intendersi quale atto unilaterale), fatto salvo il risarcimento del danno nel caso di revoca del consenso ingiustificata o capricciosa. Tale facoltà era espressamente riconosciuta anche dalla precedente legge sul diritto d’autore (r.d.l., 7 novembre 1925, n. 1950), che attribuiva alla persona che aveva prestato il consenso il potere di revocarlo, salvo l’obbligo del risarcimento dei danni (art. 11, comma 1°).

La ricostruzione del diritto di immagine

Una simile ricostruzione, tuttavia, appare del tutto inadeguata rispetto ad una concezione del diritto all’immagine incentrata sulla componente patrimoniale come tale idonea ad attribuire al titolare del diritto la facoltà di compiere veri e propri negozi giuridici a carattere lucrativo. In altre parole, la ricostruzione del diritto all’immagine in termini positivi, e non di mero ius excludendi, conduce a rappresentare l’atto di disposizione non più come “negozio autorizzativo” e di rinuncia al divieto di divulgazione, bensì come un vero e proprio consenso ad un rapporto contrattuale concernente il bene immateriale dell’immagine; il corollario è la completa irrilevanza di un successivo pentimento del ritrattato che revochi il consenso validamente manifestato in precedenza.

 

Lo Studio Legale Dandi fornisce assistenza legale in diverse aree di competenza. Dai un'occhiata ai nostri servizi oppure contattaci!

🎓 sono l'Avvocato dei creativi: li aiuto a lavorare liberamente sentendosi protetti dalla legge

Site Footer