Luca Rossi incontra Dandi: il diritto d’autore di un collettivo aperto

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L’arte vive un periodo buio, più buio di qualsiasi epoca conosciuta. Lionello Venturi, a proposito delle avanguardie, ha scritto che il Surrealismo si è concentrato sul contenuto, il Cubismo sulla forma. Nel nostro piccolo possiamo affermare che gran parte dell’arte contemporanea si concentra sul bon ton, assumendo il ruolo di guida morale, e finendo per essere moralista. L’aspetto economico dell’arte in particolare, quello dei mercati e delle transazioni, per paradosso ignora i valori ma se ne fa promotore. Tutte le espressioni creative integrano ora un dettato etico, dal cinema, alla pubblicità, alla letteratura.

Abbiamo scelto di sapere di più sul punto di vista di una realtà critica nel mondo dell’arte contemporanea, quella di Luca Rossi. Non per tentare di sfuggire dall’assumere una posizione, che rimarrebbe l’opera più sublime, ma ascoltare una voce che da subito si è interrogata sul cd. sistema dell’arte.

Incontriamo così Luca Rossi online e lo contattiamo attraverso la sua pagina FB. Gli chiediamo di rispondere a qualche domanda sul diritto d’autore e sulla gestione della titolarità delle sue opere.

Ma partiamo dall’inizio.

Chi è Luca Rossi? Luca Rossi è un collettivo aperto, una figura anonima, che inizia a svilupparsi nel 2001 come critica al sistema dell’arte italiano e internazionale. In particolare: una critica a una produzione acritica e indiscriminata di opere d’arte senza riferimenti valoriali. La mancanza di valori nell’arte contemporanea è un problema soprattutto per gli artisti che, se lavorano in un sistema senza riferimenti critici valoriali, non riusciranno a sostenere in modo continuativo il proprio lavoro.

Chiediamo, facendo riferimento alle recenti decisioni su Banksy in merito alla impossibilità di riconoscere il diritto d’autore per le opere il cui autore vuole rimanere anonimo, in quanto collettivo, come gestite la titolarità e la commercializzazione delle opere anche se provocatorie e le attività anche di critica, di Luca Rossi?

Nei primi anni il collettivo è una personalità fuori controllo proprio perché chiunque può essere Luca Rossi. Questo è parte della poetica del collettivo aperto. Dal 2016 i progetti nati sotto l’etichetta di Luca Rossi vengono ordinati e sviluppati sul sito Luca Rossi Lab.

Da quel momento gli artisti che partecipano al progetto hanno tutti un nome, anche se fanno parte del collettivo. Quindi, nel caso in cui un’opera venga venduta o sia necessaria la partecipazione fisica a un talk o un’intervista, Luca Rossi diventa semplicemente un nome d’arte di cui i vari artisti possono usufruire.

Dunque il problema del rimanere anonimi non fa parte del collettivo aperto Luca Rossi, anche perché gli artisti che prendono parte al progetto ci tengono eccome alla propria identità e difficilmente accettano di utilizzare uno pseudonimo per i loro progetti, vogliono mostrarsi, essere riconoscibili.

Nessuno vieta a qualcun altro di sviluppare delle opere come Luca Rossi. L’unica scriminante sono i contenuti. È quello il solo interesse, portare l’attenzione sui contenuti. Sviluppare un atteggiamento e una visione che vedono nell’opera un testimone che noi possiamo utilizzare nella nostra vita di tutti i giorni.

Il fine dell’arte contemporanea è allenare, sperimentare la nostra capacità di vedere, quella di sviluppare la nostra capacità critica, per migliorare nella nostra quotidianità. Se alleniamo i nostri occhi possiamo creare un valore per noi stessi.

C’è soprattutto una critica al sistema, una stimolazione del senso critico verso il mondo dell’arte. L’opera, quando c’è un pensiero critico forte, esiste sempre ed è giusto tutelare il suo autore.

A noi interessa la perdita di controllo. Luca Rossi Lab è il modo per ordinare i contenuti sviluppati da un collettivo aperto e può essere la piattaforma dove mettere in discussione altre produzioni di altri Luca Rossi che agiscono fuori dal Lab.

Chi prende parte al progetto Luca Rossi ha il desiderio di perdere il controllo dell’identità monolitica del ‘900, quelle a cui proprio Bansky fa riferimento. Banksy mette in atto delle azioni per difendere la proprio individualità artistica per quanto anonima o sconosciuta.

A noi questo aspetto non interessa. Non ci interessa la questione identitaria, che invece è ancora fondamentale per Banksy, artista ancora profondamente radicato nel secolo scorso.

Banksy è una contraddizione. Se sei anonimo non puoi rivendicare il diritto su nessuna opere. Banksy è un’artista sopravvalutato che riesce a fare leva su una retorica che alle persone piace molto ma che non arriva a sviluppare in modo efficace quel laboratorio che l’arte contemporanea potrebbe essere per allenare la sperimentazione della vista. Banksy è come bere un bicchiere di acqua: lo bevi, è piacevole per un istante e poi finisce.

Banksy è, se vogliamo, l’unione di Andy Warhol e Keith Haring, che sono due grandi artisti del ‘900 e quindi l’apparizione inaspettata di un graffito di Banksy, Keith Haring New York anni ’80 e la componente pop, anche molto superficiale e retorica, dei contenuti di Banksy. In Banksy c’è una retorica globale macro.

A Bansky preferiamo JR che non lavora sull’anonimato. Jr è un artista che non lavora sull’anonimato che reagisce alla sovraproduzione dei contenuti che ci sta soffocando ingrandendo le foto dei nostri cellulari facendoli uscire dai musei. Jr fa venire fuori dai suoi interventi uno spessore umano micro. Individua le storie micro delle persone e le fa uscire, contrastando efficacemente la sovrapoduzione di opere con le sue immagini di persone in bianco e nero. 

Solamente una riflessione sul paragone Banksy-Warhol-Haring. La pop art americana non era interessata a bacchettare il pubblico o a “salvarlo” dalla società del consumo come una buona madre. Anche la pop art forse, per tornare a Venturi, si è concentrata anche lei sul contenuto, piuttosto che sulla forma, intervenendo dal di dentro dell’ormai superato sistema produttivo. Banksy né l’uno né l’altro e, in modo profondamente attuale, ha preso le forme e ne ha fatto un breviario, diventando il parroco di una messa autocelebrata.

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