Il rischio di confusione e il rischio di associazione nel diritto dei marchi

Il rischio di confusione e il rischio di associazione nel diritto dei marchi

Con 4 sentenze, la Corte di giustizia ha definito il rischio di confusione e successivamente ha dovuto pronunciarsi su diversi aspetti che richiedevano chiarimenti in riferimento all’ipotesi di marchi identici o simili, o anche prodotti identici o simili coperti da tali marchi.

Si tratta delle sentenze:

  • Puma/Sabel dell’11 novembre 1997,
  • Canon/Metro Goldwin del 29 settembre 1998,
  • Lloyd Schuhfabrik Meyer/Klijsen del 22 giugno 1999 e
  • Adidas/Marca Mode del 22 giugno 2000.

In una quinta sentenza, Medion/Thomson del 6 ottobre 2005, la Corte ha ripreso e confermato tutti i principi precedentemente stabiliti.

Il rischio di confusione e il rischio di associazione nel diritto dei marchi

In sintesi, la sentenza Sabel/Puma

Enuncia il seguente concetto: la semplice associazione tra due marchi che potrebbe essere stabilita dal pubblico in ragione del loro contenuto semantico coincidente non è sufficiente, in sÊ, per concludere che esista un rischio di confusione.

Tale insegnamento è confermato dalla sentenza Canon/Metro Goldwin.

La Corte si è basata sia sul testo dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), sia sul decimo ‘considerando’ della direttiva per spiegare che la nozione di “rischio di associazione” non rappresenta un’alternativa alla nozione di rischio di confusione, bensì serve a definirne la portata. Il decimo ‘considerando’ precisa con chiarezza che il rischio di confusione costituisce la condizione della tutela.

Il rischio di confusione

Va notato altresì che, nella sentenza Puma, la CGCE ha optato per il principio della confusione senza però fornire una definizione positiva del concetto di “rischio di confusione comportante anche un rischio di associazione”, cosa che avrebbe fatto successivamente, nella sentenza Canon, circoscrivendolo come segue: il rischio di confusione va interpretato come il rischio che il pubblico possa credere che i prodotti o servizi provengano dalla stessa impresa o, eventualmente, da imprese economicamente legate tra loro.

Vi si ravvisa la possibilitĂ  di un rischio diretto e indiretto:

  • il primo riguarda il legame tra i marchi e i segni,
  • il secondo quello tra i titolari dei marchi e dei segni.

Elaborazione del principio del rischio di confusione

Poiché il rischio di confusione è legato alla questione dei marchi somiglianti e dei prodotti somiglianti, analizziamo i diversi aspetti da chiarire nell’ottica di tale rischio, ossia

  • la somiglianza tra i segni,
  • la somiglianza tra i prodotti o servizi,
  • le modalitĂ  di valutazione del rischio di confusione e
  • il pubblico per il quale occorre valutarlo.

a. Come procedere alla valutazione?

Nel caso Puma/Sabel, la Corte tedesca che ha interpellato in via pregiudiziale la CGCE doveva pronunciarsi in merito alla questione se un contenuto semantico coincidente dei marchi fosse sufficiente per concludere che esisteva un rischio di confusione.

Orbene, non è sufficiente.

La risposta della Corte è stata chiara: occorre valutarlo

“globalmente, tenendo presenti tutti i fattori pertinenti della fattispecie, e segnatamente la notorietà del marchio sul mercato, l’associazione che può essere stabilita con il segno utilizzato o registrato e il grado di somiglianza tra i prodotti o servizi designati“ (sentenza Puma).

Inoltre, globalmente significa che la somiglianza visiva, uditiva o concettuale deve essere fondata sull’impressione complessiva prodotta dai marchi tenendo presenti, in particolare, gli elementi distintivi e dominanti del marchio.

Per quale motivo occorre valutarlo globalmente?

Perché il consumatore medio percepisce un marchio con un’entità unitaria e non effettua analisi.

Di quale consumatore si tratta?

Si tratta del consumatore medio del tipo di prodotti specificamente in questione. Va peraltro rilevato che, nell’approccio globale, un elemento di somiglianza (per esempio, auditiva) può essere neutralizzato da dissomiglianze visive e/o concettuali (sentenza Ruiz‐ Picasso del 12 gennaio 2006). Ultimamente, la Corte ha avuto occasione di rammentare l’importanza dell’applicazione dell’approccio globale in riferimento al caso di un marchio complesso di tipo visivo che contiene un elemento dominante: solo quando tutte le altre componenti del marchio sono trascurabili, la valutazione della somiglianza può avvenire unicamente sulla base dell’elemento dominante (sentenza Shaker del 12 giugno 2007 – marchio limonchello).

Sentenza Medion

Nelle circostanze molto particolari della sentenza Medion del 6 ottobre 2005 (marchi Thomson – Life Thomson), la Corte doveva esprimersi sul caso in cui un marchio anteriore complesso, che contiene la denominazione dell’impresa, mantiene una posizione distintiva autonoma, pur senza costituirne l’elemento dominante. Nella fattispecie, l’impressione complessiva prodotta dal segno composto può indurre il pubblico a credere che i prodotti o servizi provengano perlomeno da imprese economicamente legate tra loro.

La Corte ha ammesso

“che può sussistere un rischio di confusione per il pubblico, in caso di identità dei prodotti o dei servizi, quando il segno controverso è costituito dalla giustapposizione, da un lato, della denominazione dell’impresa del terzo e, dall’altro, del marchio registrato, dotato di normale capacità distintiva, e quando quest’ultimo, pur senza determinare da solo l’impressione complessiva del segno composto, conserva nell’ambito dello stesso una posizione distintiva autonoma.”

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