Oblio e evoluzione dei diritti della personalità: l’espressione del diritto alla riservatezza

Oblio e evoluzione dei diritti della personalità: la libertà di stampa

Dottrina e giurisprudenza hanno svolto un ruolo decisivo nel costruire nuovi diritti da contrapporre, nell’attività di bilanciamento, alla libertà di stampa (art. 21 Cost.).

La teoria unitaria della persona (c.d. concezione «monistica») e il principio personalista come priorità di valore hanno consentito di fare leva, in assenza di una specifica normativa, sulla generale protezione della persona che la Costituzione esige.

Le principali norme artefici di quest’espansione di tutela sono state, com’è noto, l’art. 2 Cost. che pone, secondo un’interpretazione, una norma «a fattispecie aperta» all’evoluzione culturale e sociale dell’ordinamento. Essa, in quanto prescrive un «comando giuridico che genera il dovere di astensione», non può essere soltanto riepilogativa di diritti già sanciti. Solo in questa prospettiva la norma è volta a proteggere la persona umana integralmente in tutti i suoi modi di essere essenziali.

Oblio e evoluzione dei diritti della personalità. La libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero.

Un altro importante riferimento normativo è la libertà di «manifestare liberamente il proprio pensiero» (art. 21 co. 1 Cost.), intesa come libertà anche negativa e la «pari dignità sociale» (art. 3 co. 1. Cost.) la quale, nel richiamare l’onorabilità e il decoro, esclude giudizi negativi basati sul livello sociale.

In queste disposizioni è stato ravvisato il fondamento giuridico-positivo dei nuovi diritti della personalità, codificati, poi, expressis verbis, dal legislatore (art. 2 d. lgs. n. 196/2003, Codice in materia di protezione dei dati personali). E’ stata così garantita copertura costituzionale a valori emergenti, in correlazione all’obiettivo primario di tutela del «pieno sviluppo della persona umana» (art. 3 co. 2 Cost.).

Oblio e evoluzione dei diritti della personalità. La dottrina e la giurisprudenza.

La dottrina più attenta ha parlato di diritto alla vita privata (c.d. riservatezza) assai prima dell’intervento legislativo n. 675/1996, confluito, in seguito, nel ricordato codice sui dati personali.

La giurisprudenza, da parte sua, a fatica ma con sapienza, ha costruito, spinta da alcuni studi, il diritto all’identità personale come dimensione oggettiva della persona – autonomamente tutelabile – che si apprezza con riferimento alla realtà sociale generale o particolare in cui la stessa vive e opera.

L’identità personale, dimensione composita del soggetto, ha assunto un rilievo decisivo per la soluzione di problemi cruciali quali l’autodeterminazione ai trattamenti medici di fine vita, il controllo dei dati personali e l’oblio.

Oblio e evoluzione dei diritti della personalità. L’oblio.

Non interessa soffermarsi ora sull’identità; preme piuttosto rilevare come questa feconda attività interpretativa cui si è accennato sia particolarmente apprezzabile con riguardo al diritto all’oblio. Il quale, oggi, è previsto da diverse norme e altresì «trova una sua fondazione di principio nell’art. 11 co. 1 let. e)» del Codice sui dati personali.

Esso si atteggia come peculiare espressione del diritto alla riservatezza e consiste nell’«interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia», già legittimamente apparsa sui mezzi di comunicazione di massa.

La persona già al centro di vicende diffuse e pubblicizzate può desiderare, per non rimanere prigioniera del passato, di rientrare nell’anonimato.


Oblio e evoluzione dei diritti della personalità.


Il problema è stabilire se altre diffusioni della medesima notizia siano soggette a limiti e regole o assolutamente libere. Quest’ultima prospettazione è certamente da respingere.

Per fare chiarezza occorre distinguere le notizie già pubblicate attinenti esclusivamente alla sfera privata da quelle che assumono rilevanza sociale. Non v’è dubbio che nella prima ipotesi occorra il consenso dell’interessato per ogni pubblicazione.

Il discorso è più complesso nella seconda ipotesi e su questa interessa concentrare l’attenzione. Si è già ricordato che l’utilità sociale è una delle condizioni per immettere la notizia nel circuito informativo. Essa sussiste quando il fatto riveste importanza culturale, morale o politica per la vita sociale. Ma il trascorrere del tempo erode sempre più l’interesse a conoscere un determinato avvenimento già reso pubblico. Ne consegue che per riproporre una notizia a distanza di anni occorre che il fatto già reso noto sia ridivenuto attuale.

Certo è che per dimostrare il nuovo interesse su una vicenda non è sufficiente richiamare quell’utilità sociale che, in passato, ne aveva giustificato la diffusione. Occorre, invece, «una specifica e rinnovata utilità sociale [all’ulteriore] pubblicizzazione degli avvenimenti del passato». Ciò avviene qualora sopravvengano fatti nuovi, integrativi del quadro già conosciuto dai lettori o dagli utenti.

In mancanza, all’interesse a ricevere nuovamente l’informazione si contrappone il diritto all’oblio il quale matura se vi è «legittima aspettativa della persona ad essere dimenticata dall’opinione pubblica e rimossa dalla memoria collettiva».

Il decorso del tempo obbliga ad aggiornare i dati all’epoca conosciuti o a tacere. D’altra parte la persona può, col tempo, aver ricostruito la propria reputazione lesa dalla legittima pubblicazione di un fatto negativo o disonorevole. La riconquistata considerazione sociale non può essere incrinata o distrutta dall’esposizione di vecchie notizie. Se, trascorso un consistente intervallo, s’intende ripubblicare una notizia, si dovrà ricercare un nuovo equilibrio tra cronaca e oblio.

In quest’arduo compito, afferma la Cassazione, il giornalista deve «parametrarsi a criteri di rigore ancora maggiore dell’ordinario»; ciò perché dalla prima pubblicazione possono essere accaduti altri fatti modificativi del quadro originario. Di questi ultimi l’autore dell’articolo o del servizio deve dare conto per non fornire una rappresentazione falsata della realtà.

Chi ad esempio riferisce su certe indagini deve offrire un’informazione completa e puntuale, perché l’omissione – inconsapevole o voluta – di un tassello può ledere la reputazione, alterando al contempo l’identità della persona. Il diritto all’oblio, allora, può essere ricondotto non solo, come propende la Cassazione, alla riservatezza, ma anche all’identità personale.

Ripubblicare un fatto senza menzionare i nuovi aspetti che lo connotano può alterare la personalità perché ripropone l’antica, non più attuale, immagine della persona. In conclusione, se la notizia già nota diviene nuovamente attuale in virtù di circostanze sopravvenute, prevale, tendenzialmente, il diritto di cronaca sul diritto all’oblio. La narrazione deve tuttavia essere completa, esaustiva e giustificata dall’utilità sociale.

Se, invece, la notizia non è più attuale alla luce del tempo trascorso, ma persiste o si rivitalizza l’interesse pubblico alla sua conoscenza, occorre tener conto del diritto all’oblio ossia a vedere cancellato dalla memoria altrui ciò che ha suscitato disistima o disprezzo dei consociati.

Gli errori del passato o le azioni che il comune sentire reputa negative non possono costituire segni indelebili dell’identità.

L’oblio e evoluzione dei diritti della personalità è tratto da I LIMITI ALLA CRITICA, ALLA SATIRA E ALL’ESERCIZIO DELL’ARTE di Antonio Gorgoni

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