Il Caso Banksy: Mostre non autorizzate e limiti legali
La notorietà di Banksy, l’artista che ha scelto di rimanere anonimo, ha portato alla nascita di numerose mostre non autorizzate in tutto il mondo. Tuttavia, le sue opere più celebri e il suo nome sono marchi registrati dalla società Pest Control, l’unica che autentica e vende le sue creazioni. Questo porta a complessi casi legali, come quello dell’esibizione a Milano del 2018.
La mostra di Banksy a Milano: la causa e la sentenza
Nonostante il divieto della Pest Control, la società 24 ORE CULTURA ha organizzato la mostra “The art of Banksy. A visual protest” a Milano. La Pest Control ha agito in giudizio, lamentando non solo la violazione dei marchi registrati (incluso il nome “BANKSY” e opere come “la bambina con il palloncino rosso” e il “lanciatore di fiori”), ma anche una attività confusoria e contraria alla correttezza professionale. Il Tribunale di Milano ha accolto solo parzialmente il ricorso: ha inibito la vendita di tutto il merchandising che riproduceva il marchio e le opere dell’artista, ma ha ritenuto lecita la riproduzione delle opere sui materiali promozionali della mostra.
Come organizzare una mostra non autorizzata (senza infrangere la legge)
La chiave sta nel distinguere tra l’uso promozionale e lo sfruttamento commerciale. Basandosi sulla sentenza del Tribunale di Milano, per organizzare una mostra non autorizzata da Banksy (o da un altro artista), è fondamentale:
- Evitare il merchandising: Non si possono vendere prodotti (libri, cataloghi, magliette, ecc.) che riportano il nome dell’artista o la riproduzione delle sue opere. L’apposizione del nome su prodotti generici viene considerata una violazione del marchio, perché ne caratterizza l’aspetto distintivo e ne sfrutta la notorietà a fini puramente commerciali.
- L’uso promozionale delle immagini: La sentenza ha stabilito che la riproduzione delle opere per la promozione della mostra stessa non costituisce una violazione, in quanto serve a informare il pubblico sul contenuto dell’esposizione.
In sintesi, si può organizzare una mostra su un artista senza il suo consenso, ma non si può usare il suo nome o le sue opere per vendere prodotti. Il confine tra informazione culturale e sfruttamento commerciale è la linea che non deve essere superata.
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