Rassegna dell’evento “Streaming Killed the radio star?”

Si è svolto venerdì 24 aprile 2015, presso la libreria Inocntro Fandango di Roma, via dei Prefetti 22, il secondo incontro organizzato da DANDI (diritto d’autore e diritto industriale), in cui si è discusso del rapporto tra autori e mercato della musica on line, in particolare sulle piattaforme che ci riforniscono di musica per mezzo dello streaming.

Hanno partecipato al dibattito, confrontandosi sul tema, l’Avv. Fabio Macaluso, l’ Avv. Stefania Ercolani (responsabile multimedia SIAE), Damir Ivic (giornalista e critico musicale), Maria Cristina Zoppa (Rai Webradio) e Matteo Cavaggioni (Cheapsound).

Nell’arco di quasi due ore di discussione si é cercato di dare una qualche risposta alle seguenti domande: quali sono le caratteristiche del mercato della musica 2.0? E’ vera democrazia o un mal celato oligopolio? La musica on line e la nuova distribuzione della musica via internet rappresentano una reale risorsa non solo in termini di visibilitá, ma anche economici per gli autori indipendenti, a partire dagli autori “nativi digitali”?

Ha introdotto l’argomento l’Avv. Federico Mastrolilli (Duchamp) che, sulla base dei dati del Digital music report del 2015 redatto dalla IFPI, ha aperto il dibattito con una breve cronistoria sul cambiamento della musica e sulla sua fruizione negli ultimi vent’anni.

La rivoluzione digitale ha comportato un cambiamento nelle abitudini non solo del produttore discografico ma anche del consumatore, abituato, fino all’avvento degli anni Duemila, a comprare supporti fisici e a collezionarli.

Federico ha raccontato che, come molti di noi, prima dell’avvento dell’era digitale per rifornirsi di musica era solito frequentare i negozi di dischi, quelli all’avanguardia, come Disfunzioni Musicali nel quartieri di San Lorenzo a Roma, dove scartabellava tra gli scaffali di cd, musicassette e vinili cercando di immaginarne il contenuto.

Con l’avvento della musica liquida sul web e in particolare con il passaggio dal download di mp3 (mero simulacro della precedente modalitá di distribuzione fisica dei contenuti) allo streaming (modalitá, questa sí, finalmente innovativa, con l’accesso – piú o meno a pagamento – a una ricca library di opere), sono cambiate le abitudini del consumatore.

A fronte di un’apparente fonte inesauribile di contenuti, Federico quasi si annoia davanti ad un pc cercando di capire, aiutato da algoritmi intelligenti (e non piú da commessi competenti), qual’é il nome dell’ultimo artista che ha sentito chissá dove.

Dall’introduzione autobiografica di Federico sono emersi non solo i cambiamenti nel modo in cui la musica viene oggi usufruita, ma anche una serie di dati sullo stato attuale del mercato attraverso la cui lettura é stato possibile comprendere le tendenze del mercato musicale nei principali mercati mondiali.

Quali sono questi dati? Il mercato dell’industria musicale ha registrato un calo dello 0,4%. Le cose vanno abbastanza bene, quindi, considerando che si tratta di un settore dato piú volte per spacciato negli ultimi dieci anni!

I consumatori preferiscono accedere ai c.d. “licensed digital music service”, come ad esempio Youtube, Spotify, Deezer o I-Tunes, piuttosto che acquistare musica attraverso i canali tradizionali; non usano piu’ il “download” (-13%) ma ascoltano musica attraverso lo “streaming on demand” (+42%). E lo fanno sempre di piú abbonandosi ai servizi a pagamento.

Sulla base di questi dati é emerso il consenso dei partecipanti all’incontro sul ruolo attualmente predominante di queste nuove piattaforme, sia a livello commerciale che a livello di cambiamento dei costumi e delle modalitá di ascolto.

L’avv. Fabio Macaluso, al riguardo, ha chiarito, innanzitutto, che nulla é realmete gratis su internet, sottolineando le modalitá di finanziamento delle piattaforme musicali, per poi soffermarsi su come e attraverso quali forme i ricavi da queste ottenuti vengano (ancora iniquamente) ridistribuiti tra gli aventi diritto – autori, artisti, produttori discografici.

Spotify si finanzia attraverso due modalità: un abbonamento “Premium”, che garantisce l’accesso illimitato ai contenuti senza interruzioni pubblicitarie, oppure in forma gratuita  imponendo l’ascolto, da parte dell’utente, di contenuti pubblicitari (e quindi é una forma gratuita solo apparente).

L’avv. Macaluso ha chiarito come i ricavi vengano ridistribuiti tra gli aventi diritto, in particolare quali siano i compensi spettanti all’artista. Le royalties che, in base agli ascolti, vengono riconosciute agli artisti, che sottoscrivono con le piattaforme musicali accordi di licenza, sono ancora irrisorie, soprattutto per gli artisti indipendenti.

A titolo esemplificativo un artista che ha ottenuto 1 milione di ascolti con Spotify si vede riconosciuto un compenso di 6.000 euro, mentre chi ha sottoscritto un contratto con YouTube, riceve una cifra intorno ai 3.000 euro.

Briciole, se raffrontate al “mondo di ieri”.

YouTube ha recentemente raggiunto un accordo con le “major” in vista del lancio della propria piattaforma dedicata interamente alla musica, Music Key, mettendo gli artisti di fronte ad un vero e proprio aut aut: o accettano le condizioni contrattuali imposte dalla piattaforma oppure vengono cancellati.

Zoë Keating, giovane violoncellista canadese, ha denunciato questa forma di sfruttamento. All’artista, che su Twitter ha quasi due milioni di followers, è stato chiesto di trasferire tutti i suoi video sulla nuova piattaforma, altrimenti avrebbe perso sia il diritto di monetizzare attraverso i video riconosciuti dal Content-ID , ma sopratutto, i suoi contenuti sarebbero stati cancellati.

Non esistere on-line o su YouTube, considerando che YouTube è il principale provider di musica (e non solo) sul web, equivale a essere un fantasma. Quale prospettiva dunque può avere un artista indipendente alla luce di queste considerazioni?

Matteo Cavaggioni, creatore di Cheapsound, portale che promuove band indipendenti romane, ha evidenziato come, ormai, la vera fonte di sostentamento per un artista sia rappresentato dai live e che i “music-media” vengano utilizzati solo per aumentare la propria visibiltà.

La filosofia del cheap é stata da Matteo cosí riassunta: massimi risultati contenendo i costi che l’industria musicale, spesso, impone.

Matteo ci ha confermato che né lui né gli artisti che lui stesso promuove, attraverso il suo portale, possono contare su lauti guadagni. Un bel paradosso: si vive on line, ma si guadagna (ancora) off line, grazie ai live, che, quindi, come ha notato l’avv. Scaldaferri, servono a promuovere i dischi (mentre prima era viceversa).

Su questo spunto sono intervenuti Damir Ivic (giornalista e critico musicale) e Maria Cristina Zoppa (Rai web radio) che hanno proseguito il dibattito sottolineando come sono cambiati i modi attraverso i quali i musicisti, oggi, affrontano i concerti.

Il concerto era un modo per farsi conoscere, per dare al pubblico un contatto con gli artisti di cui si conosceva solo la voce, o al massimo, lo si era visto su un poster o su una rivista. Tempi in cui i guadagni dell’ artista derivavano, principalmente, dalla vendita degli album. Oggi, senza concerti, l’artista non puó pensare di dedicarsi alla carriera musicale, in altri termini: lo puó fare, ma solo amatorialmente.

Un’amara riflessione, se si considera che il diritto d’autore nasce proprio per liberare l’autore dal rischio di questa condizione dilettantesca, facendolo confrontare solo con il mercato.

In parte, ricorda Maria Cristina Zoppa, c’é il “Pubblico” che aiuta – o dovrebbe aiutare – soprattutto gli artisti emergenti, finanziando i primi dischi, organizzando rassegne dove esibirsi e farsi conoscere, oppure, come fa lei con la sua web radio, dando spazio ai giovani gruppi (ha raccontato, ad esempio, di aver contribuito all’esplosione mediatica di gruppi come i The Giornalisti) e alle proposte d’archivio radiofonico piú sperimentali.

Damir e Maria Cristina hanno sottolineato un ulteriore problema legato alla promozione: Damir ha evidenziato come il numero dei concerti in Italia, anche per questioni legate alle “mode”, sia in netto calo rispetto agli anni passati; ha portato ancora come esempio i “The Giornalisti” che, anche se indipendenti, hanno un largo seguito e “ad oggi fanno difficoltà ad essere “impegnati” tutta la settimana”.

Per Maria Cristina ci dovrebbe anche essere maggior collaborazione tra gli artisti che dovrebbero evitare di “farsi concorrenza tra di loro e pianificare insieme lo scheduling dei concerti”.

Infine Damir ha ribadito che gli artisti, soprattutto se emergenti, dovrebbero essere migliori “imprenditori di sé stessi e scegliere con accuratezza e determinazione il proprio indirizzo artistico”, in quanto “limitarsi a fare musica solo per cultura, non può che portare, nel lungo periodo, alla scomparsa della musica indipendente”.

L’avv. Ercolani ha concluso l’evento illustrando in che modo l’ufficio Multimedia della SIAE sta cercando di orientarsi nel complesso arcipelago delle piattaforme, dei blog e dei sempre cangianti siti web dove si sfrutta la musica on line, al fine di garantire i diritti degli autori.

L’avv. Ercolani ha aggiunto, tra le altre cose, un ulteriore elemento di attenzione nei confronti delle piattaforme streaming piú á la page, facendo presente come, attraverso di esse, sia sempre piú diffusa tra gli utenti la modalitá di ascolto musicale tramite playlist generate dalle piattaforme stesse, playlist che peró, essendo destinate a un pubblico tendenzialmente universale, tendono a sacrificare le realtá locali – nel nostro caso, gli artisti italiani – e comunque a privilegiare gli artisti piú noti, ricreando surrettiziamente quelle limitazioni al pluralismo culturale che appartenevano – e appartengono – semmai alla distribuzione di musica off line.

CONCLUSIONI

Attraverso questo dibattito abbiamo visto come le abitudini di chi ascolta musica siano cambiate, preferendo il “digitale” al supporto fisico, lo streaming (meglio se free) al downloading.

Tutto ciò ha portato, sì, ad un calo vertiginoso della pirateria che, in alcuni Paesi come la Svezia è, addirittura, quasi scomparsa, ma, d’altra parte ha concentrato nelle mani di pochi la diffusione su larga scala di contenuti musicali, il che, abbiamo visto, avviene attraverso piattaforme digitali che versano ai produttori, ma soprattutto, agli artisti, royalties davvero esigue.

E’ una normale logica di mercato, grazie alla quale gli artisti pur non potendo trarre lauti guadagni possono contare, virtualmente, su un’enorme visibilità oppure un modello che porterà, inevitabilmente, alla scomparsa della musica indipendente?

Chiudiamo con Damir che ha scritto “E‘ stato un incontro veramente piacevole e stimolante, dove è stata messa in campo anche tanta competenza specifica in settori piĂą “tecnici” (vedi Siae, o diritto d’autore) il tutto senza però mai essere pesanti, pedanti, spenti. La musica è una materia “viva”, fatta di passioni e slanci, ed è così che bisogna approcciarla: anche e soprattutto quando vuoi farne un lavoro, un lavoro serio (che resta sempre una cosa buona&bella a cui ambire).”

Ha collaborato, sponsorizzandolo sul sito ma non potendo presenziare fisicamente all’evento in veste di relatore, il Dott. Giordano Sangiorgi (MEI Meeting Etichette Indipendenti).

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