Product placement e fiction letteraria (di Roberto Di Pietro)
Quella del product placement è una pratica atipica di marketing volta a favorire la visibilità di un determinato brand in un contesto più ampio rispetto alla specificità di uno spot pubblicitario dedicato.
Sebbene sia una pratica diffusa, soprattutto per quanto riguarda l’industria cinematografica (con ovvia annessione dei film per la tv e delle serie televisive), negli USA, il product placement può interessare altre discipline come l’arte (in particolare le mostre e gli allestimenti) e la letteratura.
Mentre per quanto riguarda il cinema le sponsorizzazioni dirette alla produzione o indirette (ad esempio, la copertura di parte dell’ingaggio di uno o più attori), possono assumere il carattere di mecenatismo (visti gli elevati costi), favoriti da un sicuro ritorno di visibilità e dalla fruibilità commerciale dei film (si pensi alla capacità di un mezzo come lo schermo che impiega contemporaneamente le potenzialità della parola, dell’immagine e della musica), per quanto riguarda la fiction letteraria il discorso cambia radicalmente a causa di vari fattori.
Prima di tutto c’è un’evidente disparità di divulgazione del mezzo
La tv (o il cinema) possono arrivare a più persone nello stesso momento (agendo quindi e sulla massa e sul singolo individuo), mentre la lettura è notoriamente un’attività prevalentemente solipsistica (a eccezione di associazioni o circoli di lettura che difficilmente superano, quanto meno in Italia, alcune centinaia di appartenenti).
Inoltre non tutti i generi letterari si presterebbero a fornire un ambito adeguato alla promozione di un prodotto (si pensi alle opere di teatro, alla saggistica o alla poesia).
Diverso, invece, è il caso dei romanzi rosa, della spy story, dei thriller o dei gialli. E qui bisogna operare un’ulteriore distinzione: affinché si possa parlare di product placement non è sufficiente la citazione di un determinato brand, bensì è necessario che questo sia messo al centro della narrazione e che l’azienda produttrice stipuli un apposito contratto con l’autore, gli agenti o l’editore del libro che disciplini il reciproco impegno. Questo perché alle multinazionali (o alle semplici aziende) interessa esplorare nuove potenzialità del marchio giocando sulla possibilità di ampliare lo storytelling commerciale a una vera e propria story, nella quale il prodotto, seppure non proprio al centro della narrazione, ne costituisca una parte importante per il suo svolgimento (attirando l’attenzione del lettore su di sé).
Product placement e fiction letteraria
È dunque evidente che ciò che a Manzoni o Verga era ancora possibile (scrivere genericamente di una bevanda, del tabacco, di un capo di vestiario), per uno scrittore contemporaneo non lo è più, almeno non senza sembrare naif.
La mimesi tra la reale esperienza del vissuto e l’elaborazione creativa lo rendono praticamente impossibile.
Se la fiction è l’espressione della società, di cui si nutre e che riflette, la presenza di un brand o la citazione di una multinazionale è tanto probabile quanto normale all’interno di un testo di narrativa (negli Usa, alcuni marchi possono richiedere di visionare i libri in uscita che ne contengano il nome per valutarne possibili problemi di pubblicità negativa). D’altronde, il contrario sorprenderebbe il lettore.
Si pensi all’effetto che farebbe la seguente frase: «Luca aprì il frigo e prese una lattina di una bibita gassata». Non si riterrebbe inadeguata, poco realistica e certamente debole? Non è forse vero che tutti la tradurrebbero automaticamente nel seguente modo: «Luca aprì il frigorifero e prese una Coca-Cola/Pepsi»?
È quindi evidente che una buona strategia alternativa di marketing per il product placement letterario necessiti di un autore di best-seller certificato, in grado di vendere milioni di copie a più persone (e possibilmente a un pubblico eterogeneo) nel più breve tempo possibile, mantenendo alto il livello di credibilità narrativa. Per via di tutte queste speciose particolarità, il product placement trova difficoltà ad affermarsi nel mercato del publishing, sebbene esistano certamente dei casi famosi, in particolare The Bulgari Connection, ventitreesimo libro della scrittrice inglese Fay Weldon, commissionato dalla famosa casa di gioielli in cambio di 18 mila sterline (per un minimo di 12 citazioni).
Per quanto il product placement possa sempre essere una delle tante forme di marketing in essere o in potenza praticabili, al momento sembra che nella fiction letteraria questa forma di promozione sia pensabile soltanto per progetti mirati a costituire la proverbiale eccezione alla regola e che riguarderebbero il mercato italiano soltanto di riflesso (traduzioni, resa cinematografica del libro, lettura in lingua originale).
Diverse, invece, sono in prospettiva le potenzialità dei testi in formato elettronico (pdf, mobi, ePub) i cui bassi costi di produzione e le cui possibilità di interazione con altri linguaggi (link ipertestuali, immagini, audio, filmati, social network) si presterebbero meglio e più facilmente del cartaceo.
Roberto Di Pietro, autore dell’articolo, collabora con DANDI ed è titolare, con Andrea Carnevale, dell’Agenzia Letteraria Edelweiss.
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