Registrazione marchi e libertà di espressione: il caso Raoul Bova “occhi spaccanti”
Il caso: Raoul Bova deposita il marchio per bloccare gli audio virali
Raoul Bova ha depositato presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi due registrazioni marchi per le espressioni “occhi spaccanti” e “buongiorno essere speciale, dal sorriso meraviglioso e dagli occhi spaccanti”, tratte dagli audio WhatsApp diventati virali e diffusi da Fabrizio Corona. L’attore, a mezzo della sua legale, ha coperto con le domande depositate il 5 agosto un’ampia gamma di settori: cosmetici, cartoleria, calzature, abbigliamento, prodotti alimentari e alcolici, oltre a servizi di consulenza e telefonia.
La strategia legale, secondo quanto dichiarato dall’avvocata di Raoul Bova, “punta a bloccare la diffusione illecita del contenuto degli audio” e prevede che “quelle frasi non potranno essere utilizzate senza il permesso di Raoul altrimenti si andrà incontro a sanzioni.”
Perché la strategia non può funzionare: i limiti delle registrazioni marchi
La registrazione marchi non impedisce la libera circolazione delle parole
Non si comprende come la registrazione marchi possa impedire la diffusione dell’audio originale. Il diritto dei marchi, disciplinato dal Codice della Proprietà Industriale (D.Lgs. 30/2005), protegge segni distintivi utilizzati nell’attività commerciale per distinguere prodotti o servizi. Le registrazioni marchi non conferiscono un monopolio assoluto sulle parole, ma solo il diritto esclusivo di utilizzo commerciale in relazione ai settori merceologici specificati.
I principi fondamentali del diritto dei marchi
L’articolo 20 del Codice della Proprietà Industriale stabilisce che il titolare di un marchio registrato ha il diritto esclusivo di utilizzarlo, ma questo diritto è limitato all’uso commerciale per contraddistinguere prodotti o servizi. La Corte di Giustizia UE ha chiarito nella sentenza Arsenal (C-206/01) che la protezione del marchio non si estende agli usi non commerciali o descrittivi.
La registrazione marchi non può impedire:
- L’uso giornalistico delle espressioni per cronaca o satira
- La citazione in contesti non commerciali
- L’uso descrittivo o informativo delle parole
- La riproduzione degli audio originali per finalità di informazione
Libertà di espressione vs. diritti di proprietà industriale
L’articolo 21 della Costituzione garantisce la libertà di manifestazione del pensiero, principio che prevale quando entra in conflitto con i diritti di proprietà industriale. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha stabilito nel caso Ashby Donald (2013) che la libertà di espressione include il diritto di utilizzare parole comuni anche quando registrate come marchio, purché non in contesti commerciali ingannevoli.
L’inefficacia della strategia legale
Uso satirico e giornalistico protetto
Le espressioni “occhi spaccanti” sono ormai entrate nel linguaggio comune satirico e giornalistico. I marchi registrati non possono limitare l’uso editoriale o umoristico di espressioni divenute di pubblico dominio. Ryanair e Napoli Calcio, citati nell’articolo come potenziali bersagli legali, potrebbero facilmente invocare l’uso parodistico e promozionale non concorrenziale.
Genericità delle espressioni
Le frasi depositate potrebbero essere considerate generiche o descrittive, caratteristiche che ne impedirebbero la registrazione marchi valida. L’UIBM potrebbe rigettare le domande per mancanza di distintività, requisito fondamentale stabilito dall’articolo 7 del Codice della Proprietà Industriale.
Il precedente “petaloso”: quando la creatività linguistica incontra il diritto
Un caso emblematico nel panorama della proprietà industriale italiana è quello di “petaloso“, il neologismo inventato nel 2016 da Matteo, bambino di otto anni di Copparo (Ferrara), per descrivere un fiore “che ha molti petali”. Dopo la viralità mediatica della parola, diversi soggetti tentarono la registrazione marchi del termine per i settori più disparati: dal tessile alla cosmesi, dalla ristorazione agli accessori.
L’Accademia della Crusca, pur apprezzando la creatività linguistica del bambino, spiegò che per entrare nel vocabolario una parola deve essere utilizzata da molte persone per molto tempo. Dal punto di vista marcario, invece, emersero le contraddizioni tipiche di questi casi: mentre alcuni uffici brevetti accettarono le domande per settori specifici, altri le rigettarono per genericità o perché considerate di dominio pubblico.
Il caso “petaloso” dimostra come anche le parole inventate, una volta entrate nell’uso comune mediatico, perdano rapidamente la loro distintività e diventino difficilmente tutelabili tramite registrazioni marchi. Una lezione che si applica perfettamente alle espressioni “occhi spaccanti” di Bova, ormai patrimonio collettivo del linguaggio satirico italiano.
Conclusioni: una strategia legale discutibile
La registrazione marchi delle espressioni “occhi spaccanti” appare una manovra più mediatica che giuridicamente efficace. I diritti di proprietà industriale non possono limitare la libertà di informazione e satira, principi costituzionalmente protetti. Una strategia più efficace potrebbe concentrarsi sulla tutela della privacy e del diritto all’immagine, ambiti dove Bova avrebbe maggiori possibilità di successo.
La lezione per i professionisti: non tutti i problemi legali si risolvono con la proprietà industriale. Scegliere gli strumenti giuridici appropriati è fondamentale per una tutela efficace.
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