Quando due “Coccoli” si scontrano: il caso di marchio che non ti aspetti

Conflitto tra marchi patronimici: le aziende con lo stesso cognome

Il conflitto tra marchi patronimici

Nel mondo del business e del diritto dei marchi, i “marchi patronimici” sono quelli che utilizzano il cognome del fondatore o di una famiglia. Sebbene possano evocare un senso di tradizione e affidabilità, creano un problema potenziale non indifferente: il conflitto tra marchi. Questo accade quando due o più aziende, anche in settori diversi, usano lo stesso cognome per il proprio brand. La legge italiana e il diritto internazionale tutelano il “marchio notorio” (quello molto famoso) e le registrazioni precedenti, ma la situazione può diventare complessa se i marchi nascono in parallelo o hanno un’evoluzione simile. In questi casi, la giurisprudenza tende a valutare il rischio di confusione per il consumatore, l’effettiva coesistenza pacifica dei marchi e l’eventuale “malafede” nell’appropriarsi di un cognome già noto. La questione è particolarmente delicata quando si tratta di cognomi molto diffusi.

Nel giudizio di comparazione tra marchi, ha maggior peso il cognome rispetto agli altri elementi costitutivi del segno. Di norma, la parola o le parole che formano il patronimico costituiscono il cuore del marchio.

Il caso pratico: Calzificio Coccoli vs. Coccoli di Melby

Il riassunto della sentenza in parole semplici

Immagina due aziende che si chiamano “Coccoli”.

  • Una vende calze e usa il marchio “Calze Coccoli” con l’immagine di un cagnolino (un Breton).
  • L’altra vende vestiti per neonati e usa il marchio “Coccoli di Melby”, con un logo colorato e vivace.

L’azienda che produce calze ha fatto causa all’altra, sostenendo che usare lo stesso cognome (Coccoli) avrebbe creato confusione nei clienti, i quali avrebbero potuto credere che i vestiti per neonati fossero prodotti dalla stessa azienda di calze.

La Corte di Cassazione ha dato ragione alla seconda azienda. Ha detto che non c’era il rischio di confondere i due marchi.

Il motivo?

Per capire se due marchi sono simili, i giudici non guardano solo il cognome in comune. Hanno analizzato il marchio “nel suo insieme”, e hanno notato delle differenze fondamentali:

  1. “Calze Coccoli” usa il cognome solo come un nome, ma il vero punto di forza è l’immagine del cane, che suggerisce un’idea di morbidezza e comodità.
  2. “Coccoli di Melby” non è solo un cognome, ma la parola “coccoli” viene usata come vezzeggiativo per i bambini e viene arricchita da “di Melby” con un logo colorato, creando un’immagine diversa e più fiabesca.

In sostanza, la Corte ha stabilito che la combinazione di nome e immagine creava due identità di marca così diverse che il cliente non avrebbe mai potuto scambiarle tra loro, anche se usavano lo stesso cognome.

Il principio di diritto dalla sentenza della Cassazione

La Corte di Cassazione (Cass. civ. Sez. I, 31/10/2016, n. 22033 Soc. Calzificio Coccoli c. Soc. Fratelli Campagnolo) ribadisce che:

In tema di conflitto tra marchi patronimici, anche se l’elemento denominativo di norma ne costituisce il cuore l’aggiunta in quello successivo di elementi ulteriori di per sé non ne comporta né la novità-distinguibilità, né la carenza di tali requisiti, dovendo al riguardo procedersi ad una debita analisi di tutte le circostanze del caso (nella specie, la Suprema corte ha ritenuto immune da vizi, confermandola, la sentenza di merito secondo cui il marchio “Calze Coccoli”, per calze e collant, non è confondibile con quello posteriore di altro imprenditore “Coccoli di Melby” per capi di abbigliamento per neonati, in quanto: a) il primo è un marchio d’insieme, connotato non tanto dal patronimico, mero indicatore di origine, non identificativo dei prodotti di riferimento, anche perché corrispondente ad una parola d’uso comune, quanto dalla sinergica combinazione della parola “calze” con l’immagine della testa di un cane Breton, evocante morbidezza e comfort, b) nel secondo il dato differenziale “by Melby”, accentuato dalla rappresentazione grafica in lettere colorate con sfondo a tinte vivaci, non è di mero contorno, in quanto presenta una cospicua attitudine connotativa, suggerendo fantasiosamente che i “coccoli”, ossia i bimbi, provenissero o appartenessero ad un mondo fiabesco e si identificassero con un personaggio favoloso

La Cassazione stabilisce e sottolinea, quindi, come il Tribunale competente abbia valorizzato l’effettiva peculiarità del caso, considerando anche che “il dato differenziale contenuto nel secondo marchio, “di Melby”, lungi dal presentarsi quale elemento differenziatore di puro contorno, possedeva una cospicua attitudine connotativa, giacché sottolineava una tratto fantasioso ed immaginifico assente nell’altro marchio, suggerendo che i “coccoli”, ossia i bimbi – riferendosi il marchio “Coccoli di Melby” ad una linea di vestiario per neonati-bambini – provenissero o appartenessero ad un luogo fiabesco, o si identificassero con un personaggio favoloso, aspetto, quest’ultimo, accentuato dalla rappresentazione grafica della parola “Melby” in lettere colorate a sfondo a tinte vivaci”.

In conclusione, nell’opinione della Corte di Appello, i due marchi non potevano ritenersi confondibili.

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Sono Claudia Roggero, avvocata specializzata in Proprietà Intellettuale, Diritto d’Autore e dello Spettacolo. La mia missione non è solo guidarti attraverso il labirinto normativo che governa il mondo delle arti, della musica, dell’audiovisivo, dell’editoria e del digitale. Con bravura ed una competenza d’eccellenza, mi dedico a trasformare le complessità legali in opportunità strategiche, sempre con un approccio profondamente umano.

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