Videogiochi e Copyright: il diritto d’autore nei Videogames

I videogiochi sono tutelati dalla legge sul diritto d’autore? Nella legge italiana non esiste alcuna specifica definizione di videogioco. Tuttavia i videogiochi sono menzionati nell’art. 171-ter per quanto riguarda l’illecito penale e l’art. 181-bis, che prevede l’obbligo del bollino SIAE sia per i software che per le opere multimediali al fine di garantire la loro originalità. La costruzione dello status giuridico dei videogiochi è stata creata dalla giurisprudenza e dalla dottrina.

La sentenza della Suprema Corte n. 1204/1999, segna un punto fermo in giurisprudenza, definendo i videogiochi come “programmi per elaboratori” contenenti immagini in movimento, e non escludendo l’obbligo della vidimazione SIAE. Resta altresì pacifica, in dottrina e in giurisprudenza, l’assimilazione dei videogiochi alle opere cinematografiche. La sentenza del Tribunale di Milano del 6 novembre 2015 – al quale la Nintendo si era rivolta per lamentare la realizzazione illecita di copie dei propri videogiochi – affronta la questione dell’inquadramento giuridico del videogioco e della conseguente sua proteggibilità.

La prima pronuncia in materia di tutela dei videogiochi risale al 1982 . Il videogame viene definito come “il gioco creato per alleviare i malati dalla noia” (Pretura di Torino, 25 maggio 1982).  Nel 1982 non poteva essere applicato il diritto d’autore per la protezione del software, ma la copia fu impedita in base alla legge sulla concorrenza sleale.

Videogame diritto autore

La sentenza che per prima ha definito il videogioco come “immagine in movimento” è sempre del Tribunale di Torino e risale al 1983. Le “immagini in movimento” caratterizzano qualsiasi videogioco, classificandolo come un’opera audiovisiva. In questo modo si apre la porta alla protezione del copyright e alla sua applicazione.
Nel giudizio di Dalvit del 25 maggio 2007, la Corte Suprema, consapevole del divario nella legislazione e del fatto che il concetto di “immagine in movimento” non fosse sufficiente a comprendere la complessità dei videogiochi, finalmente li classifica come opere multimediali.
Questo stato giuridico è stato confermato dalla successiva giurisprudenza.

Videogame diritto autore

Va tuttavia rilevato che la ragione di questa sentenza era limitata ad un approccio penale, in quanto i giudici, dopo aver classificato i videogiochi come opere multimediali, hanno applicato le sanzioni penali relative alle vendite delle copie non autorizzate, a norma dell’articolo 171 ter f bis della legge sul diritto d’autore.

La Dottrina ha creato una definizione di videogame: un prodotto che combina contemporaneamente, in forma digitale, testo, grafica, suoni, immagini e software. Quindi i videogiochi godono della stessa tutela prevista per le opere audiovisive.

Il termine videogioco, in alcuni casi, può riferirsi anche ad un dispositivo hardware dedicato a uno specifico gioco. La Cassazione ribadisce la tutela ampia per i videogiochi – considerati qualcosa di più di semplici programmi per computer – e, soprattutto, per i dispositivi “chiave-serratura” di protezione del diritto d’autore contenuto. I videogiochi sono e restano “opere multimediali complesse” riconducibili “alla categoria dei supporti contenenti sequenze di immagini in movimento”, tutelati pertanto dall’articolo 171-ter della legge 633/1941 e non dal precedente 171 bis (che è relativo ai programmi software, e che comunque prevede pene edittali identiche).

Il caso riguardava due imputati portati a giudizio per aver messo in commercio – anche via web – dispositivi di effrazione dell’Mtp (misure tecnologiche di protezione) di consolle Microsoft, Nintendo e Sony. Secondo i difensori, la struttura di queste piattaforme oggi potrebbe essere inquadrata nel concetto di «programmi per elaboratore», valutazione che invece la Corte ha respinto giudicando pienamente allineata la giurisprudenza di legittimità rispetto alla più recenti decisioni europee (causa C-355/12 della Corte Ue). Non è necessario che l’effrazione si consumi direttamente ed esclusivamente sul prodotto videogioco (software), perchè se la consolle (componente hardware) è necessaria a “far girare” il programma di software originali, il suo ruolo è quello di un dispositivo “chiave-serratura” posto a diretta tutela del diritto d’autore coperto dalla norma incriminatrice. In sostanza

Una parte della protezione sta nelle informazioni inserite nel supporto- videogioco originale, mentre l’altra parte è inglobata nella consolle. Conclusione, questa, perfettamente in linea con la sentenza  che riconosce compatibile con la direttiva 2001/29/Ce – e cioè tutelate le apparecchiature portatili o le consolle destinate a garantire l’accesso ai giochi e la loro utilizzazione.

Copyright e videogiochi: i loghi di fantasia dei videogame sono coperti da Copyright?

Una clinica per la cura della pelle in Vietnam ha scelto per il proprio brand il logo della Umbrella Corporation. La Umbrella Corporation (anche nota come Umbrella Inc.) è una società immaginaria di biotecnologia presente nella serie dei videogame di Resident Evil. È una grande industria internazionale e i suoi interessi includono farmaceutica, apparecchi medici, difesa e computer, oltre a operazioni clandestine che usano l’ingegneria genetica e le armi biologiche. La compagnia ha anche più volti pubblici, attività commerciali di produzione di cosmetici e beni di consumo. Una clinica per la cura della pelle in Vietnam ha scelto per il proprio brand il logo della Umbrella Corporation.

Copyright e videogiochi

La società, una volta “scoperto” l’errore, in un comunicato, ha annunciato che, per evitare problemi legali, il logo sarà presto modificato.

Copyright e videogiochi

La pagina Facebook della clinica Medcare Skin Center è già stata modificata. Il logo non è ancora stata sostituito.

I problemi potrebbero derivare anche riguardo al diritto di immagine e alla professionalità della clinica vietnamita. Infatti, nella saga Resident Evil la Umbrella Corporation, come nel motto della MedCare Skin Centre, regala speranze ai propri pazienti, sterminando quasi l’intera razza umana a causa della creazione del terrificante Virus T. Nessuno però si sarebbe mai aspettato di ritrovare il logo dell’appena citata Umbrella in un centro di cura per la pelle in Vietnam.  I responsabili della compagnia hanno dichiarato che si tratta di una sfortunata coincidenza.

Esistono casi in cui, senza saperlo, si crea un’opera uguale o comunque molto simile. Potrebbe esserci buonafede nella scelta del logo da parte della clinica Vietnamita. Pare, infatti, che la grafica sia stata acquistata da una banca dati specializzata in loghi e marchi. Potrebbe trattarsi, invece, di una scelta pubblicitaria. La Medcare Skin Centre, è finita nelle pagine di cronaca di tutto il mondo perché accusata di aver utilizzato, in maniera illecita, il logo della Umbrella Corporation. Un metodo come un altro per farsi notare.

La creazione di un videogioco può richiedere anni di sviluppo. Può coinvolgere sceneggiatori per l’ideazione della storia e la stesura dei dialoghi. Musicisti per la composizione di musiche e colonne sonore di sottofondo. Attori in carne e ossa che prestano le proprie sembianze agli alter ego virtuali attraverso la tecnica del motion capture.

Molti videogiochi sono tratti da film o più raramente da libri. Ne ricalcano al loro interno la trama originaria. Non mancano i casi in cui videogiochi di grande successo, spesso fra il pubblico più giovane, hanno finito con l’ispirare film o racconti su carta stampata.

Lo sviluppo delle potenzialità espressive dei videogiochi ha però messo in crisi il giurista che si è trovato a dover individuare la disciplina applicabile ai videogames.

La caratteristica distintiva dei videogiochi è la loro Interattivity.

L’interattività consente all’utente, attraverso l’utilizzo del software, di combinare diversi supporti collegandoli contemporaneamente. Pertanto, i videogiochi rientrano in questa categoria di media, perché il giocatore può interagire con la storia: L’utente può scegliere ripetutamente il percorso, la scena, i suoni e i personaggi.

Parte della dottrina suggerisce che, a causa della loro natura, i videogiochi dovrebbero rientrare nella categoria delle opere collettive. Le opere collettive sono disciplinate dall’articolo 3 della legge sul diritto d’autore.

Una diversa tendenza dottrinale,  sottolinea la natura audiovisiva dei videogiochi. Essi potrebbero quindi essere considerati opere cinematografiche (Giudizio Atari, 1983), dato:

  • il coinvolgimento di una pluralità di autori (articolo 44 della legge sul diritto d’autore) e
  • l’esercizio di tutti i diritti economici di sfruttamento da parte del produttore.

Le definizioni sono entrambe corrette e il problema rimane pertanto aperto. Non esiste una chiara classificazione dei videogiochi.

In generale, tuttavia, si potrebbe concludere che la giurisprudenza, in assenza di una definizione giuridica, si è comunque discostata da un approccio semplificato. Tale approccio considerava i videogiochi come software e dunque ne applicava la disciplina (art. 64 bis e seguenti).

Da questa interpretazione si è invece preferita quella che definisce i videogiochi come opere multimediali o cinematografiche.

Una volta riconosciuta l’esistenza e la tutela dei videogiochi, un altro aspetto essenziale è la determinazione dei diversi autori coinvolti nel processo creativo.

Lindsay Lohan e la tutela del diritto di immagine del sosia nei videogiochi

Lindsay Lohan accusa i creatori di ‘Grand Theft Auto V’ di aver creato il personaggio di Lacey Jonas copiando le sue fattezze Parlando di  tutela del diritto di immagine del sosia può essere citato il caso di Linsday Loahn. Una corte d’appello dello Stato di New York ha stabilito che benché il personaggio le somigli, i disegnatori della Take-Two Interactive Software Inc non hanno utilizzato né il nome né l’immagine diretti della Lohan, realizzando un lavoro di fiction e satira e dunque non hanno violato il suo diritto alla privacy.

Il videogioco ha dato vita ad un avatar non ispirandosi ad un’immagine reale della Lohan. La legge americana non riconosce alcuna tutela al diritto della persona, e semplicemente “evocare una somiglianza”, ad esempio usando la stessa pettinatura, la lunghezza dei capelli, una camicia bianca, un seno appariscente, fare il segno della pace, non sono elementi che possono dimostrare che il right of publicity di qualsivoglia attrice é stato violato.

Lindsay Lohan

Nessun uso pubblicitario: il videogioco non è equiparabile alla pubblicità negli Stati Uniti

La Corte d’Appello ha anche statuito che, anche se il videogioco avesse utilizzato l’immagine della Lohan copiandone le sembianze, riconoscendo una tutela del diritto di immagine del sosia, comunque non avrebbe violato alcuna legge e tantomeno il right of publicity, fattispecie descritta nel New York right of publicity statute. Secondo tale legge un videogioco non è equiparabile ad una pubblicità nel significato del New York Civil Rights Law § 50.

Invece il Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, che garantisce il diritto alla libertà di espressione, è applicabile laddove prevede che un videogioco è in grado di creare una storia originale e unica, con propri personaggi, dialoghi, ambientazione, caratteristiche che, connesse con la capacità e bravura di chi gioca, lo rende un’opera originale e creativa di fiction e satira.

…“[t]his video game’s unique story, characters, dialogue, and environment, combined with the player’s ability to choose how to proceed in the game, render it a work of fiction and satire.

Anche Kren Gravano aveva intentato una causa avente ad oggetto la tutela del diritto di immagine del sosia usato come avatar. Nella stessa sentenza i cinque giudici di Manhattan hanno anche respinto la causa da 40 milioni di dollari avviata, contro la Take-Two, da Karen Gravano, stella della serie tv americana ‘Mob Wives’, che ha seguito le vicende di mogli e figlie di alcuni criminali incarcerati per crimini di stampo mafioso. La donna, il cui stesso padre, Sammy Gravano, ha da tempo abbandonato i suoi affari illegali entrando in un programma di collaborazione per pentiti, aveva fatto causa agli sviluppatori di Rockstar Games per aver utilizzato le sue fattezze e la sua storia all’interno di una missione di Grand Theft Auto 5.

tutela del diritto di immagine del sosia

Come riportato da NY Daily News, la Gravano si sarebbe riconosciuta nel personaggio di Antonia Bottino, figlia dell’ex mafioso Sammy Bottino, divenuto collaboratore di giustizia in seguito ad un accordo con le forze dell’ordine, all’interno della missione “Burial”. A causa di queste similitudini, è stato richiesto un risarcimento di 40 milioni di dollari, di cui 20 come danni punitivi.

Nonostante il fatto che il querelante abbia il più grande rispetto per gli scrittori e i creatori del videogioco Grand Theft Auto 5, la sua storia è unica ed è solo lei a poterla raccontare

Il copyright dei tatuaggi nei videogiochi

La Take-Two Interactive: citata in giudizio per la riproduzione di alcuni tatuaggi nel videogioco sul basket NBA 2K16. Il copyright dei tatuaggi significherebbe che, per la loro esibizione in pubblico, dovrebbero pagarsi all’autore un equo compenso come per le opere tutelate dal diritto d’autore! Negli Stati Uniti sta già succedendo qualcosa di simile per il copyright dei tatuaggi nei videogiochi. Il caso vede coinvolta la Take-Two Interactive, che è stata citata in giudizio per la riproduzione di alcuni tatuaggi nel videogioco sul basket NBA 2K16, senza aver ottenuto il permesso dai loro autori.

Solid Oak Sketches, uno studio di tatuaggi, sostiene infatti che Take-Two e Visual Concepts, sviluppatore di NBA 2K16, abbiano riprodotto nel gioco otto design registrati dello studio. Solid Oak Sketches, ha acquisito i diritti sui design nel 2015 e ha successivamente contattato Take-Two per trovare un accordo sulla licenza dei relativi  diritti. A un certo punto la Take-Two, avrebbe interrotto i negoziati e proseguito nella produzione dei suoi videogiochi di basket, violando intenzionalmente il copyright dei tatuaggi.

copyright dei tatuaggi

Non è il primo caso nella storia giudiziaria statunitense in cui i tatuaggi vengono fatti oggetto di controversie legali e stia prendendo piede la tutela del copyright dei tatuaggi.

The Hangover 2

Nel 2011 la Warner Bros, aveva incluso nel suo film The Hangover 2 (e nella relativa campagna promozionale) un personaggio con un tatuaggio simile a quello realizzato per Mike Tyson dal tattoo artist S. Victor Whitmill.
Nel 2012 un altro tattoo artist aveva citato in giudizio la società THQ, chiedendo un risarcimento di oltre 4 milioni di dollari per aver riprodotto il tatuaggio dell’atleta Carlos Condit nel videogame UFC Undisputed 3. Entrambi i casi sono stati risolti con una transazione confidenziale.

Matthew Reed contro Nike

Un tatuatore di nome Matthew Reed, qualche anno fa ha intentato una causa nei confronti del noto cestista statunitense Rasheed Wallace e della Nike. Il motivo del contendere era stata la partecipazione del giocatore ad una campagna pubblicitaria promossa dal colosso dell’abbigliamento Nike, nel corso della quale veniva esposta in primo piano l’opera artistica realizzata da Reed sul braccio destro di Wallace, accompagnata dalla voce del campione che spiegava il significato del tatuaggio. A seguito della campagna, Reed aveva deciso di depositare il disegno impresso nel tatuaggio e di registrarlo. Ha poi richiesto a Wallace e alla Nike i danni per l’illecito utilizzo del tatuaggio e la cessazione del suo utilizzo nella comunicazione pubblicitaria. Anche questa vicenda si era chiusa con un accordo conciliativo tra le parti, senza arrivare ad una definizione in tribunale.

Bobby Prince compositore di Duke Nukem 3D cita in giudizio Gearbox e Valve

Bobby Prince

 

Bobby Prince, ha citato in giudizio Gearbox e Valve per violazione di copyright. I diritti sulla musica del gioco sono suoi. Prince è un noto compositore e sound designer, creatore della musica e degli effetti sonori di alcuni dei videogiochi più popolari di tutti tempo, tra cui Doom, Doom II, Wolfenstein 3D e Duke Nukem 3D. Duke Nukem 3D è un videogioco del genere degli sparatutto in prima persona sviluppato dalla 3D Realms e pubblicato il 29 gennaio 1996 prima per PC e successivamente per alcune console Bobby Prince, ha citato in giudizio Gearbox e il suo CEO, Randy Pitchford per aver utilizzato la musica di Duke Nukem 3D senza aver acquisito i diritti e Valve Corporation per averla distribuita ignorando l’avviso di take down di Bobby Prince. Nel 1996 Bobby Prince ha composto la musica, le registrazioni dei dialoghi e gli effetti sonori di Duke Nukem 3D. La musica è stata concessa in licenza daApogee, sviluppatore originale di Duke Nukem. L’accordo conferiva allo sviluppatore un “diritto limitato” all’utilizzo della musica protetta da copyright “in cambio di una royalty pari a 1 dollaro per unità venduta”. Apogee non ha mai posseduto la musica di Duke Nukem 3D. Infatti, nel 2010, quando Gearbox ha acquisito i diritti per i giochi di Duke Nukem, non non era compresa la colonna sonora. Quando Bobby Prince ha saputo che Gearbox avrebbe pubblicato Duke Nukem 3D World Tour, l’edizione dedicata al ventesimo anniversario del gioco, ha scritto a Pitchford per avvertirlo che Gearbox avrebbe dovuto pagargli le royalties se avesse usato la sua musica. Duke Nukem 3D World Tour è stato pubblicato l’11 ottobre 2016. Prince non ha ricevuto royalties per l’uso della musica nel gioco. Bobby Prince afferma inoltre che un avviso di rimozione è stato emesso a Valve l’8 febbraio 2018, ma è stato ignorato.

Atari “Breakout” vs Nestlè Kit Kat: lo spot di Kit-Kat copia il videogioco Atari Breakout

Se avete una certa età, certa come la mia, ricorderete un videogioco storico della Atari. Si chiamava “Breakout” e consisteva in tanti mattoncini colorati. In basso una barra che si muove, a destra e sinistra. Sotto, il vuoto assoluto dove la pallina non deve cadere prima di essere riuscita a colpire tutti i mattoncini. Il videogioco risale agli anni ‘70. Impossibile non riconoscerlo. “Breakout” è il successore di «Pong», videogioco a cui hanno lavorato anche i fondatori di Apple, Steve Wozniak e Steve Jobs.

Il format del videogioco

Secondo la Atari c’è chi starebbe sfruttando un format così iconico per vendere i suoi prodotti. La società ha accusato la Nestlé di aver pubblicato un video pubblicitario che riprende in tutto e per tutto la grafica di “Breakout”. Al posto dei mattoncini, barrette di Kit-Kat. Pura invenzione, secondo l’azienda svizzera, che ha dichiarato che si difenderà con forza in tribunale. Nello spot “Kit Kat: Breakout”, le somiglianze sono visibili già dal titolo. Mostra una serie di persone, di varie età, che condividono un divano e giocano alla console durante una pausa. Su un paddle — si muove a destra e sinistra — rimbalza una pallina che spezza le barrette di cioccolato poste nella parte alta dello schermo.

Secondo Atari, il plagio è così chiaro che Nestlé non può dichiarare che sia stata una violazione innocente. Il legale, che ha presentato il caso al tribunale di San Francisco, accusa gli svizzeri di aver sfruttato il posto speciale che Breakout occupa nel cuore di intere generazioni e anche in quello dei Millennials.

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