Marchio Made in Italy normativa

Quali sono le condizioni per poter riportare sui prodotti da commercializzare in Italia o all’estero la dicitura “made in Italy”?

Prodotto Made in Italy normativa e leggi

Il problema sorge, in particolare, quando alcune o tutte le fasi di lavorazione del prodotto si svolgono fuori dal territorio italiano In questo caso occorre accertare:

  • se e come si possono qualificare tali prodotti come italiani
  • se sussiste un obbligo giuridico di menzionare il luogo geografico di svolgimento delle lavorazioni.

Produzione made in Italy: normativa made in sul piano internazionale

Molti Paesi hanno siglato l’Accordo di Madrid, il quale prevede l’obbligo di “indicazione precisa ed in caratteri evidenti del paese o del luogo di fabbricazione o di produzione, o un’altra indicazione sufficiente ad evitare ogni errore sull’origine effettiva, sotto pena del sequestro del prodotto”.

“Pazzi” per il Made in Italy

Quando si può usare la marcatura Made in Italy

Made in Italy è un’espressione che evoca in tutto il mondo l’idea di prodotto italiano, ha acquisito nel tempo il sinonimo di garanzia di qualità, ricerca e tradizione propria di alcuni settori industriali del nostro Paese, come quello della moda o quello agroalimentare, solo per citare i più famosi.

Ma cosa si intende realmente con questa dicitura?

Cosa è Made in Italy e cosa non lo è?  C’è differenza tra Made in Italy e 100% Made in Italy? Quale è la tutela del marchio Made in Italy?

Rispondere a queste domande è tutt’altro che facile.

Non esiste in Italia una normativa chiara in tale materia, ma una serie di leggi di non facile individuazione ed interpretazione, emesse, per lo più in materia doganale, sia a livello comunitario che nazionale.

Made in Italy legge: le classi merceologiche

Innanzitutto, fatta eccezione per alcuni settori merceologici (ad es: prodotti cosmetici o agroalimentari), la legge non prevede l’obbligo di apposizione della dicitura Made in ItalyLa specificazione dell’origine italiana di un prodotto è quindi non un dovere, ma una facoltà, che può rappresentare per molti imprenditori una strategia di marketing per invogliare i consumatori all’acquisto dei loro prodotti.

Legge sul Made in Italy: L’uso legittimo dell’indicazione

Al fine di evitare che vi sia un abuso o comunque un uso non legittimo dell’indicazione Made in Italy, sono state individuate, a livello normativo, delle regole a cui dovrà attenersi l’imprenditore che intenda specificare l’origine dei propri prodotti.

Made in Italy marchio: i criteri di tutela del marchio di origine

In sintesi, i criteri da seguire per il corretto utilizzo del Made in Italy prevedono che è lecito apporre la dicitura Made in Italy quando il prodotto è stato interamente fabbricato in Italia. Quando invece alla produzione di una merce hanno partecipato due o più Paesi, la merce deve ritenersi originaria del paese in cui è avvenuta la c.d. ultima trasformazione sostanziale, intendendosi per tale la lavorazione a seguito della quale il prodotto abbia acquisito composizione e proprietà specifiche che non possedeva prima di essere sottoposto a tale operazione (ad es: una suola diviene una scarpa). Sono invece escluse le operazioni che modificano solo l’aspetto esteriore del prodotto.

Tutela del marchio di origine: le c.d. “Regole di lista”

Per alcune merci (materie tessili e loro manufatti) esistono degli elenchi c.d. “Regole di lista” che descrivono i tipi di lavorazione da ritenersi sostanziali e che quindi attribuiscono l’origine ai prodotti, ad esempio per i capi di abbigliamento è a questo scopo necessaria la confezione completa del prodotto, vale a dire l’unione delle varie parti in modo che esso sia indossabile (con l’esclusione quindi delle operazioni di rifinitura quali ad esempio l’applicazione di bottoni o l’apposizione di tasche, etichette, etc.).

Normativa Made in Italy e concetto di ultima lavorazione sostanziale

Per i settori merceologici in cui non sono previste “Regole di lista”, l’origine di un prodotto potrebbe essere determinata dalla posizione presa dall’Unione Europea nelle negoziazioni svolte presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio per delineare, a livello internazionale, un unico concetto di ultima lavorazione sostanziale. Obbiettivo ad oggi non raggiunto a causa delle difficoltà di trovare l’accordo sull’individuazione delle fasi di produzione rilevanti per l’attribuzione dell’origine.

Marchio made in Italy legge

Ad oggi non vi è quindi chiarezza ed uniformità di interpretazione in merito ai criteri per individuare il concetto di Made in Italy.

Né hanno trovato accoglimenti alcuni interventi legislativi volti a definire tale concetto. A tal proposito si ricorda che ad oggi non ha trovato ancora attuazione la Legge 55/2010, meglio nota come Legge “Reguzzoni-Versace”. Questa legge, approvata a larga maggioranza in Palermo, introduce nel settore del tessile e della pelletteria un sistema di etichettatura obbligatoria per identificare il luogo di origine di ciascuna fase della lavorazione e prevede la possibilità di apporre la dicitura Made in Italy solo sui prodotti di cui almeno due fasi della lavorazione siano avvenute in Italia, ma la sua applicazione è stata sospesa dalla CEE a causa di alcuni dubbi legati al difetto di emanazione dei decreti attuativi.

Confusione e Incertezza

È evidente che una siffatta situazione di sistematica incertezza ha creato confusione per le imprese, il che appare tanto più grave e ingiustificabile in considerazione del carattere sanzionatorio delle norme in questione che punisce penalmente la falsa indicazione di origine e di provenienza di un prodotto con una pena detentiva fino a due anni ed una multa fino a 20.000 Euro.

Tutela del marchio di origine: “100% made in Italy” o “100% italiano”, “tutto italiano”

Tale pena può addirittura essere aumentata nell’eventualità in cui venga falsificata indicazione dell’espressione “100% made in Italy” o “100% italiano”, “tutto italiano”. Espressione quest’ultima che quindi la legge distingue da quella Made in Italy, rilevando che la stessa può essere utilizzata solo nel caso in cui un prodotto sia stato interamente realizzato in Italia, ossia quando il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono compiuti esclusivamente sul territorio italiano.

Le c.d. “fallaci indicazioni”

La legge invece ha depenalizzato ad illecito amministrativo le fattispecie delle c.d. “fallaci indicazioni”, che si ha quando pur non facendo uso di indicazioni come Made in Italy o “prodotto in Italia”, “fabbricato in Italia”, o simili si ricorre ad espressioni, segni, denominazioni e marchiature che possano comunque indurre il consumatore a ritenere che il prodotto è di origine italiana (ad es. bandiera italiana, diciture del tipo “Fabbrica Italia” o “Tempio Italiano” ecc.) quando nella realtà è stato realizzato all’estero.

Denominazione di Origine Protetta e Specialità Tradizionali Garantite come strumenti a tutela del consumatore e del produttore

Nel settore agro-alimentare il Made in Italy rappresenta uno strumento comunicativo/informativo importante per il consumatore sulla provenienza e la qualità di un prodotto. Diceva Wiston Churcill “si possono ingannare molte persone per poco tempo, poche persone per lungo tempo, ma non si possono ingannare molte persone per molto tempo.”

La reputazione, la qualità, la tracciabilità, la sicurezza alimentare e l’innovazione sono valori indiscutibilmente collegati, consentono l’acquisizione della certificazione per alcuni prodotti e garantiscono la tutela tanto dei produttori quanto dei consumatori dalle contraffazioni (art 30 C.P.I. recentemente modificato).

Il Made in Italy è un importante strumento di concorrenza qualitativa che consente alle imprese italiane di affermarsi nei mercati esteri, valorizzando la tipicità dei prodotti, quale fusione tra il valore local (territorio e/o area geografica) e la cultura del territorio.

Differenza tra denominazione di origine protetta (DOP) e indicazione geografica protetta (IGP)

La denominazione d’origine è una certificazione che crea un connubio indissolubile tra produzione e territorio. Il bene alimentare è frutto di varie combinazioni: le materie prime da un lato e le caratteristiche ambientali dall’altro, a cui si aggiungono altri fattori, come le tecniche di produzione tramandate di generazione in generazione. Il risultato è un prodotto assolutamente inimitabile. L’indicazione geografica protetta “è un marchio di tutela giuridica dell’indicazione geografica che viene attribuito a quei prodotti agricoli e alimentari per i quali una determinata qualità, la reputazione o un’altra caratteristica dipende dall’origine geografica, e la cui produzione, trasformazione e/o elaborazione avviene in un’area geografica determinata.”

Dunque per ottenere il marchio IGP è sufficiente che le fasi più importanti, cioè quelle che danno al prodotto quella caratteristica tipica, siano avvenute in quel determinato territorio.

Specialità Tradizionali Garantite (STG)

Si tratta di un marchio d’origine volto a tutelare i prodotti tradizionali con particolari specificità che rendono quel prodotto unico. Pensiamo alla mozzarella di bufala, se prodotta con le materie prime e le tecniche previste, oltre ad essere STG può acquisire anche la certificazione DOP. Inoltre, dalla combinazione di questo prodotto con altri DOP, come il Pomodorino S. Marzano dell’Agro Sarnerse-nocerino, contribuiscono a rendere la pizza napoletana un prodotto STG.

Italian Sounding, una nuova frontiera: nuovo sbocco commerciale o contraffazione?

Si utilizza il termine Italian Sounding per indicare la commercializzazione di prodotti i cui marchi riportano alla mente prodotti italiani, mediante l’utilizzo inopportuno di parole, simboli, colori, ma che di italiano non hanno nulla. Un fenomeno estero, le cui conseguenze negative ricadono inevitabilmente sul mercato italiano. Negli States per ogni prodotto realmente italiano “ce ne sarebbero altri 3 che di italiano hanno solo l’apparenza. E il danno è destinato a crescere, visto che a livello mondiale ancora non esiste una vera difesa delle Dop, Igp e Stg.”

In Italia ogni anno arrivano prodotti alimentari taroccati per un valore superiore ai 2 miliardi di euro, quasi il 5% della produzione agricola nazionale. Tra i prodotti più copiati abbiamo il Parmigiano Reggiano commercializzato nel Regno Unito come Parmesan, ma anche Prosciutto di Parma, il Grana Padano e la Mozzarella di bufala.

Marchio Unico Made in Italy: confusione e nuovi inganni

Si tratta di un progetto riaperto dal ministro dello sviluppo Calenda e da lui sottoposto ad un conclave ristretto di operatori del settore food. Uno strumento che, assumendo una nuova veste grafica, consentirà ai consumatori di comprendere se quel prodotto sia di provenienza italiana.

Il problema di questo marchio unico Made in Italy risiede nella tutela.

Potrà essere apposto tanto sui prodotti al 100% italiani, quanto su quelli che ex art 60 Codice doganale dell’Unione Europea, abbiamo subito in Italia solo l’ultima fase di trasformazione.

Cosi il Governo italiano, manda il rovina l’asse portante del nostro Pil, equiparando prodotti italiani e prodotti che di italiano hanno ben poco.

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