Bing bunny e il costume di Carnevale non autorizzato

Bing Bunny e il costume di Carnevale non autorizzato

Bing bunny è una serie tv basata sui libri di Ted Dewan trasmessa in Italia su Italia 1 nel 2015 e nel 2018 su Rai YoYo. Intorno alla serie animata è stato ovviamente creato del merchandising di cui fanno parte anche i costumi di carnevale di Bing bunny.

Chi è titolare o licenziatario di un marchio registrato può inibire ai terzi la commercializzazione, distribuzione e promozione di prodotti non autorizzati o contraffatti. Cosa che ha fatto la società che commercializza in Italia e all’estero costumi di carnevale e accessori per le feste, nonché licenziataria dei diritti di commercializzazione, distribuzione e promozione su tutti i canali commerciali (inclusi tutti i siti di e-commerce) in Italia, in Canton Ticino, nella Repubblica di San Marino e nello Stato del Vaticano del “Costume di Carnevale Bing”.

Con ricorso cautelare ex artt.129,130, 131 e ss C.P.I., depositato in data 6 dicembre 2019, la suddetta societĂ  ricorrente ha chiesto di:

  • inibire, con decreto inaudita altera parte, la fabbricazione, l’offerta in vendita, la vendita, l’uso, la promozione pubblicitaria, in qualsiasi forma e mezzo (anche online), del “Costume Bing” e di ogni altro costume che riproduca comunque le caratteristiche del personaggio di fantasia “BING”, come impresso nel marchio figurativo Euipo n. 018023122 (Europeo) ed opera di fantasia ideata e creata dalla Alcamar Film Limited tutelata dalle norme del diritto d’autore (Legge n. 633/1941);
  • ordinare alle stesse resistenti il ritiro dal commercio e la distribuzione del medesimo costume;
  • autorizzare il sequestro presso la sede legale e presso ogni altro luogo nella disponibilità delle resistenti dei costumi contestati e dei materiali, anche separati, parti dei medesimi costumi, con fissazione di una penale per ogni violazione e/o inosservanza dell’inibitoria.

Bing Bunny e il costume di Carnevale non autorizzatoLa resistente ha importato dalla Cina e commercializzato sul territorio italiano, in qualità di produttore/importatore e rivenditore, il costume di carnevale denominato “Dolce Coniglietto” (cod.articolo 88650) che riproduceva pedissequamente le caratteristiche essenziali e i colori propri del personaggio “Bing”;  la stessa ha promosso la vendita di tale prodotto anche tramite il proprio sito web e Amazon.

Il Tribunale, ritenuti sussistenti i presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora, con decreto reso inaudita altera parte in data 20.12.2019, ha:

  • disposto l’inibitoria richiesta;
  • ordinato alla resistente il ritiro dal commercio del costume “Dolce Coniglietto”, commercializzati sul territorio nazionale e la sua distruzione a loro cura e spese,
  • autorizzato il sequestro sia presso la sede legale che presso ogni altro luogo nella disponibilità della resistente del costume in contestazione, nonché dei materiali, anche separati, parti del costume de quo,
  • fissato una penale di euro 100,00 per ogni successiva violazione accertata e di euro 5.000,00 per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione dell’ordine di inibitoria, a decorrere dal secondo giorno successivo alla notificazione del relativo decreto,
  • fissato l’udienza per la convalida, modifica o revoca del provvedimento.

Con riferimento al requisito del fumus boni iuris, il Tribunale ha riscontrato evidenti indizi della sussistenza delle condotte contraffattive poste in essere dalle resistenti, consistite in gravi e reiterate attività non autorizzate di importazione, distribuzione e commercializzazione del costume.

Quanto al periculum in mora, è emersa l’attualità della pubblicizzazione e commercializzazione del prodotto de quo in contraffazione con il diritto d’autore e il marchio europeo, nonché la difficoltà di riparare integralmente per equivalente i danni economici causati da tale attività illecita ed infine la facile occultabilità e dissimulazione delle attività promozionali e commerciali.

L’attività contraffattoria contestata, ha confermato il Tribunale, può determinare in futuro danni economici – nei confronti tanto della ricorrente quanto della sua licenziante – difficilmente riparabili integralmente per equivalente all’esito dell’eventuale giudizio di merito, sia in relazione all’effetto confusorio sia con riferimento alle ripercussioni negative sulla rinomanza e sull’immagine del personaggio di fantasia “Bing”.

Pertanto, l’aumento del rischio di confusione, con conseguente aggravio dello sviamento di clientela e del discredito commerciale hanno dato ragione alla ricorrente che ha visto confermato il suo ricorso.

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