La nozione di parodia chiarita dalla Corte di Giustizia

Un esponente politico belga di estrema destra, durante una festa di capodanno, distribuisce ai suoi invitati un calendario nel quale è contenuto un disegno che riprende la copertina dell’album “La tomba indù” del fumetto Bob&Bobette (personaggi molto noti in Belgio).

La copertina del calendario riproduce quella di un episodio del fumetto con alcune modifiche cosi da trasmettere un messaggio riconducibile all’ideologia del partito.

Il “benefattore” raffigurato nella copertina del fumetto era stato sostituito con una personalità politica, mentre i “beneficiari” della sua generosità, originariamente privi di caratteri specifici, erano stati trasformati in immigrati o residenti stranieri, per trasmettere il messaggio del partito.

La nozione di parodia chiarita dalla Corte di Giustizia

Gli eredi di Willy Vandersteen, disegnatore del fumetto, decidono di rivolgersi al Tribunale di Bruxelles, per impedire la diffusione del calendario.

Secondo gli attori, il disegno in questione non era idoneo a soddisfare i requisiti della parodia, primo tra tutti quello relativo all’originalità dell’opera parodistica; inoltre, si censurava il carattere discriminatorio del messaggio trasmesso dal disegno (in ragione della circostanza per cui, in quest’ultimo, i personaggi che nell’opera originale raccoglievano le monete gettate dal “benefattore” erano stati sostituiti da persone che indossano un velo e da persone di colore), tale da produrre l’effetto di associare l’opera originaria ad un siffatto messaggio.

In primo grado, le loro domande sono accolte: viene così dichiarata la violazione del diritto d’autore e ordinato il ritiro del calendario.

I giudici dell’Appello, invece, rinviano il caso alla Corte di Giustizia, sottoponendo i seguenti quesiti:

1) Se la nozione di “parodia” sia una nozione autonoma di diritto dell’Unione.

2) In caso di risposta affermativa, se una parodia debba soddisfare le seguenti condizioni o presentare le seguenti caratteristiche:

  • mostrare un proprio carattere originale (originalità);
  • mostrare siffatto carattere in modo tale che la parodia non possa essere ragionevolmente attribuita all’autore dell’opera originale;
  • mirare a fare dell’umorismo o a canzonare, indipendentemente dal fatto che la critica in tal modo eventualmente espressa colpisca l’opera originale oppure qualche altra cosa o persona;
  • indicare la fonte dell’opera oggetto di parodia.

3) Se un’opera debba soddisfare ulteriori condizioni o presentare ulteriori caratteristiche per poter essere qualificata come parodia”.

La base giuridica di partenza è costituita dalla direttiva 2001/29 sul diritto d’autore e i diritti connessi che stabilisce la necessità di assicurare “un giusto equilibrio tra i diritti e gli interessi delle varie categorie di titolari nonché tra quelli dei vari titolari e quelli degli utenti dei materiali protetti” e, all’art. 5, inserisce la parodia e le caricature tra le eccezioni al diritto d’autore (e, quindi, tra i casi in cui è ammesso lo sfruttamento di un’opera protetta, senza dover versare nulla al creatore dell’opera originaria).

In merito alla prima questione, la Corte di Giustizia ritiene che la nozione di “parodia”, in assenza di una definizione legislativa, debba essere intesa sulla base del significato abituale del termine nel linguaggio corrente.

L’opera parodistica, quindi, dovrebbe, da un lato “evocare un’opera esistente, pur presentando percettibili differenze rispetto a quest’ultima”, e, dall’altro, “costituire un atto umoristico o canzonatorio”.

Sul secondo profilo, invece, la sentenza si ricollega alla nozione di “giusto equilibrio”: l’uso di un’immagine altrui, modificata e parodiata, determina creazione di una nuova opera.

L’applicazione dell’“eccezione” per la parodia deve rispettare un giusto equilibrio tra gli interessi dei titolari di diritti, da un lato, e la libertà di espressione della persona che intende avvalersi di tale eccezione, dall’altro.

In tale contesto, la Corte constata che se una parodia trasmette un messaggio discriminatorio i titolari di diritti dell’opera parodiata hanno, in linea di principio, un legittimo interesse a che la loro opera non sia associata ad un siffatto messaggio.

In proposito, la Corte ricorda l’importanza del principio di non discriminazione a motivo della razza, del colore e dell’origine etnica, così come previsto dalla Direttiva 2000/43/CE che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, e confermato, in particolare, all’articolo 21, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Spetterà al giudice del rinvio valutare se tale giusto equilibrio sia assicurato nel caso di specie, tenendo conto di tutte le circostanze della fattispecie concreta.

In definitiva, la parodia deve limitarsi a contenere differenze facilmente riconoscibili rispetto all’opera originale e non deve creare confusione sulla paternità delle opere. Non è necessario, invece, che sia citata l’opera primaria, né che sia dovuto un compenso al suo autore.

Più complessa – ma la Corte di Giustizia non si pronuncia sul punto – è invece la questione relativa al diritto dell’autore di impedire l’utilizzo della propria opera laddove la parodia, come nel caso di specie, contenga messaggi violenti o razzisti.

Sul punto, l’opinione dell’Avvocato Generale afferma l’uso dell’immagine originaria non possa essere interdetto “solo perché il messaggio non è condiviso dall’autore dell’opera originale o può sembrare deplorevole a gran parte dell’opinione pubblica”, ma, al contempo, che non siano ammissibili “le alterazioni dell’opera originale che, nella forma o nella sostanza, trasmettano un messaggio radicalmente contrario alle convinzioni più profonde della società”.

In altri termini, occorre rispettare non le idee e le convinzioni dell’autore dell’opera parodiate, ma quelle – dai contorni sicuramente sfumati – dell’intera società sulle quali, riprendendo ancora le parole dell’Avvocato Generale, si fonderebbe “lo spazio pubblico europeo”.

La sentenza è del 3 settembre 2014 (causa C-201/13, Johan Deckmyn e Vrijheidsfonds VZW c. Helena Vandersteen, Christiane Vandersteen, Liliana Vandersteen, Isabelle Vandersteen, Rita Dupont, Amoras II CVOH e WPG Uitgevers België).

 

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